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L'istituzione della differenza tra vincere e mediare

di Ivo Povinelli / scritto il 23-06-2008

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Il 20 aprile si sono tenute le elezioni amministrative nel Canton Ticino, il territorio svizzero in cui si parla italiano, evento che presenta alcuni aspetti singolari e interessanti se consideriamo il valore che viene dato al conflitto.
Innanzitutto chiariamo che a livello comunale il sistema politico svizzero consente alle proprie strutture amministrative di scegliere se votare i propri rappresentanti secondo un sistema proporzionale o maggioritario. La cosa più divertente è che dove il Comune opti per il meccanismo proporzionale gli organi che corrispondono al nostro ‘Consiglio comunale’ e alla nostra ‘Giunta’ possono risultare composti di rappresentanti di partiti politici diversi, ovvero l’assessore alla cultura può appartenere ad un partito e quello alle politiche sociali al partito opposto. Allora questo sistema ha sbagliato nome, non è un sistema basato sul consenso come lo intendiamo noi, è invece un sistema basato sul conflitto, sul conflitto la cui gestione genera una società stabile che esiste nelle sue strutture politiche e territoriali da ben più di 700 anni, alla faccia di tutti gli stati nazionali. Se guardiamo ad esempio ai piccoli comuni italiani, sappiamo benissimo che in questi casi il consiglio comunale è composto di 15 elementi, 10 alla maggioranza e 5 alle altre liste: sai che fatica approvare un provvedimento... Non parliamo poi della giunta comunale che ha ormai assunto poteri principeschi. Credo che il nostro sia un esempio di come si pretenda di evitare il conflitto facendo semplicemente finta che non esista e affidando alla maggioranza tutto il potere. Immaginiamoci poi, a livello nazionale, con quali strumenti si potrebbe gestire il conflitto in Italia se non siamo capaci di gestirlo nemmeno a livello locale.
Se decliniamo la scomparsa del conflitto dalle strutture amministrative in termini relazionali scopriamo che a farne le spese è proprio lo spazio pubblico. Che cos’è la privatizzazione se non l’esclusione della mediazione dei plurali interessi di una democrazia dalle discussioni, per assoggettarli ad una veloce e rapida soluzione economica? Che cos’è lo spazio pubblico se non lo spazio dove si costruisce la cultura, elemento distintivo della nostra specie, e dove si coltivano quindi modalità di gestione delle interazioni tra gli esseri umani che sono, per questioni evolutive, tanto complessi? Che cos’è la piazza se non l’unico rimedio alla mostruosità del privato e alla devastante condizione di solitudine che ci rende preda di quei lati orribile che ci compongono?

(Ivo Povinelli)