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Erik Gandini, Videocracy – Basta apparire, Italia/Svezia, 2009, 85 min.

«Videocracy comincia raccontando la storia di Ricky, un ragazzo della provincia di
Brescia che da anni prova ad andare in televisione a cantare le canzoni di Ricky Martin. Normalmente fa l'operaio, ma si allena seriamente, con il karate e la musica. Dice che grazie a questa doppia passione lui racchiude in sé le qualità del cantante, ma anche quelle di Jean-Claude Van Damme. Non ha ottenuto grandi risultati e di solito si adatta a fare il figurante tra il pubblico.
Attraverso Ricky il regista ci racconta una trasformazione antropologica profonda del nostro paese, dall'avvento delle televisioni private. Andare in televisione è una delle poche strade per arrivare a farsi riconoscere, a esistere. Lavorare e faticare non sono più considerati dei valori, tanto che lo stesso Ricky è sgomento all'idea di continuare per tutta la vita a fare l'operaio. Nel documentario si vedono frotte di giovani donne impegnate in una selezione per diventare veline, anziane signore che fanno lo spogliarello in cerca di un'apparizione a trasmissioni dove si esibiscono dilettanti e casalinghe.
Gli altri personaggi protagonisti del film, le celebrities come Lele Mora e Fabrizio Corona rappresentano perfettamente le trasformazioni del paese. Il primo promuove personaggi per lo più privi di talento, magari provenienti da trasmissioni come “Il grande fratello” che finiscono per fare i tronisti in televisione e le comparse nelle fiction. Sono personaggi prima ancora di saper fare qualcosa. “Le celebrities - scrive Luigi Zoja in La morte del prossimo, (Einaudi, 2009) sono prima di tutto espressioni esagerate di se stesse”. Mora viene ripreso nella sua villa in Sardegna, dove passa l'estate tra una festa al “Billionaire” e l'altra. Corona invece è ripreso mentre coordina i suoi paparazzi che in giro per Milano rubano scatti a personaggi più o meno famosi, per venderli ai giornali, oppure rivenderli alle stesse vittime se vogliono evitare di finire sui rotocalchi. Corona dice che l'importante è riuscire a fare quello che cazzo gli pare. Che ammira Berlusconi per lo stesso motivo, perché fa quello che gli pare e non ha problemi a utilizzare qualsiasi mezzo pur di riuscirci. Corona nel film risulta l'emblema perfetto del narcisismo patologico dominante. La sequenza più emblematica è quella di lui nudo nella doccia, che rade i peli del petto con un rasoio e poi nudo davanti allo specchio spalma il corpo completamente abbronzato di un olio che lo rende lucido. Una ripassata di olio anche al pene, poi in giacca e cravatta una spruzzata di profumo, e poi un'altra ancora e ancora. A quel punto ho immaginato che Corona fosse una nuvola, vapore profumato, e che il suo corpo fosse un gigantesco fallo priapeo.
Il documentario è veramente interessante e ben raccontato. Riesce a rappresentare una trasformazione epocale utilizzando un punto di vista ristretto, ma nello stesso tempo evita di cadere negli stereotipi del tipo “è la televisione che ha rovinato tutto”.
La domanda che mi è venuta infatti non è sulla televisione e su Corona o Berlusconi, aspetto su cui buona parte della critica cinematografica si è concentrato, ma sul senso di possibilità che hanno le giovani generazioni. In fondo Ricky non è diverso da giovani di altre generazioni che volevano cambiare il proprio stato, che volevano liberarsi del lavoro operaio. Ha qualche ragione per farlo. È chi governa il gioco che ha stabilito le regole per cui in Italia più che il lavoro e l'impegno è premiante apparire.
Nell'ultima scena Ricky si lamenta perché le donne sono facilitate nel mondo della televisione. Basta che ci stanno con qualcuno che possa aiutarle e vanno avanti. Per gli uomini è diverso. Gandini allora gli chiede se lui sarebbe disposto a compromessi e Ricky risponde che no, a meno che non gli diano un ruolo di protagonista in un film sul Van Damme italiano. Per quello sarebbe disposto anche a concedersi.
Il conflitto politico, al di là delle polemiche di giornata di cui sono sempre pieni i giornali, negli ultimi vent'anni si è giocato proprio sul modello antropologico di italiano. E non è stata la televisione l'unico attore, ma tutti coloro che avrebbero potuto inventare un'idea di futuro. La televisione e il berlusconismo ne hanno una, degli altri attori che si sono confrontati sulla scena, si fa fatica a rintracciare un'idea di futuro che non sia un aggiustamento del presente o un moralistico richiamo ai valori..

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