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William Mcdonough, Michael Braungart, Dalla culla alla culla

Blu edizioni, Torino, 2003, p.187, euro 16.
Recensione di Antonio Castagna.

copertina“Viviamo in un mondo di abbondanza, non di limiti. In mezzo al coro di chiacchiere sulla necessità di ridurre l'impronta che l'uomo lascia sull'ambiente, noi proponiamo un punto di vista diverso. E se l'uomo progettasse prodotti e sistemi che esaltino la sua creatività, la sua cultura e la sua produttività? Che siano intelligenti e sicuri da permettere alla nostra specie di lasciare sull'ambiente un'impronta di cui rallegrarsi e non dolersi?” (p. 14).
La dichiarazione di intenti sembra difficile da accogliere, a prima vista. Poi Mcdonough, architetto americano, e Braungart, chimico tedesco, lasciano la dichiarazione di intenti e cominciano a raccontare i fatti. Notano che il nostro sistema economico, dalla rivoluzione industriale in poi, è pensato in modo lineare, dalla culla alla tomba. Quando un bene non serve più viene gettato in discarica o incenerito. Al massimo viene riciclato, cioè ricomposto in forme necessariamente meno pure di quelle originali, dunque di minor valore. La ragione di questa svalutazione dipende dal fatto che i materiali che compongono i beni non sono puri, ma “ibridi mostruosi”, composti cioè di sostanze diverse, che una volta composte insieme non sono più separabili. È così per il PET, che contiene altri additivi, ma anche per gli acciai delle automobili. Diversi tipi di acciaio compongono una automobile, ma quando la carrozzeria viene schiacciata per essere riciclata tutti questi acciai sono fusi insieme e con loro anche particelle di plastiche e di altri metalli come il rame, le vernici, che rendono l'acciaio riciclato meno prezioso di quello originario. Ma è un ragionamento che vale per qualsiasi oggetto di uso comune, dagli abiti agli elettrodomestici.
La domanda che i due autori si sono fatta è se sia possibile passare da un sistema lineare a uno ciclico, “dalla culla alla culla”, appunto, “in modo da eliminare il concetto di rifiuto, non ridurre o minimizzare”, p. 13.
Per riuscirci bisogna partire dalla progettazione, studiando il “flusso dei nutrienti”, e separando i flussi dei nutrienti biologici (tutto ciò che può essere reimmesso nel ciclo vitale della terra senza pericolo) e i nutrienti tecnici (tutto ciò che permane di un bene e che può essere “sovraciclato”, cioè riutilizzato aumentando di valore. Un esempio è la progettazione di una moquette composta di una base che sostiene il tessuto, separabile da questo, in modo che appena il tessuto si degradi, o quando non ci piace più, sia possibile lasciare che il tessuto (privo di coloranti e additivi pericolosi) si degradi nel terreno, rilasciando i suoi nutrienti, mentre la base viene riutilizzata per un secondo impianto.
Il merito del testo di Mcdonough e Braungart è di affrontare una questione controversa e complessa, come quella dei limiti allo sviluppo umano, da un punto di vista che punta tutto non sulla limitazione delle possibilità e la rinuncia, ma sulle infinite possibilità dell'intelligenza. Non è al televisore che vogliono rinunciare, con le sue 4360 sostanze chimiche che lo compongono, ma a quelle sostanze pericolose per la salute che, componendosi in ibridi mostruosi rendono impossibile il sovraciclaggio. Non vogliono rinunciare ai capannoni e agli edifici industriali, ma alla loro separatezza dall'ambiente naturale, che li rende trappole per gli esseri umani che ci vivono e per gli animali e piante che vengono espulsi dai luoghi di insediamento umano. Le soluzioni che hanno inventato o a cui stanno pensando, utilizzando le competenze di designer e di chimico, sono straordinariamente semplici. Un capannone di fabbrica ad esempio può ospitare un tetto d'erba, essere circondato di piante, raccogliere l'acqua piovana da purificare in stagni artificiali attraverso la fitodepurazione, ospitare uccelli e piante acquatiche. Può essere più caldo d'inverno e più fresco d'estate, grazie a un miglior isolamento. Un'automobile, piuttosto che espellere fumi attraverso le marmitte catalitiche può raccogliere il protossido di azoto, da riutilizzare come fertilizzante nelle campagne, e dalle feci umane si può ottenere il fosfato, invece di importarlo dalla Cina. L'importante è separare i nutrienti sin dalla progettazione.
I prodotti di consumo sono quelli che si consumano, come dice la parola stessa, allora andrebbero progettati in modo che il loro rilascio nella terra e in atmosfera non sia pericoloso. Vale ad esempio per certi imballaggi, per le suole delle scarpe, le gomme delle auto, ecc.
Una delle condizioni fondamentali per arrivare ai risultati attesi è una trasformazione profonda del mercato. Infatti dovremmo abituarci ad acquistare servizi invece di merci. Ad esempio una lavatrice che contiene al suo interno le capsule di detersivo per 2000 lavaggi (di solito le lavatrici utilizzano solo il 5% del detersivo che utilizziamo), che appena conclude il suo ciclo viene sostituita, smontata e sovraciclata.
L'interesse del libro è nella sua proposta semplice ma intelligente di ripensare la questione dei limiti dello sviluppo osservandolo non dal vertice della mancanza, di spazio, di materia, di energia, dal quale siamo abituati a osservarlo, ma da quello dell'abbondanza. L'intelligenza infatti, così come l'informazione, non sono risorse scarse, non si esauriscono al passaggio da uno all'altro, al contrario, si moltiplicano. Da questo punto di vista, la questione dei limiti dello sviluppo diventa un'occasione formidabile di apprendimento. Un'altra componente essenziale del testo è che i due autori non sentono la necessità di attardarsi a dimostrare quanto sprechiamo e quanto danno facciamo al pianeta, ma lavorano sul cambiamento. I due sono anche consulenti e progettisti per aziende e gruppi industriali e multinazionali, consulenti del governo cinese per la progettazione di alcune città, l'approccio è pragmatico e capace di aiutare il committente a riconoscere le potenzialità di una situazione. Il testo è vecchio ormai di alcuni anni, ma diventa di grande attualità in un momento di crisi come questo in cui sembra che si presenti davvero la possibilità di rimettere in moto le intelligenze verso un necessario cambiamento dei sistemi produttivi, di consumo e dei mercati. In Polemos ci siamo spesso interrogati sul tema del conflitto e la qualità della vita. Il libro rappresenta uno straordinario tentativo, al di là della praticabilità immediata delle singole proposte, di affrontare il tema dal punto di vista delle possibilità concrete di evoluzione, grazie soprattutto alla capacità degli autori di aiutare i lettori e, pare, i loro committenti, a osservare la realtà da un punto di vista inedito.

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