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Mauro Cereghini e Michele Nardelli, Darsi il tempo. Idee e pratiche per un’altra cooperazione internazionale

EMI, Bologna 2008
Recensione* di Ugo Morelli

copertinaChe rapporto c’è tra pluralismo, biodiversità e interculturalità? Già la domanda potrebbe spaventare. Eppure si tratta di tre questioni che ci riguardano tutti nel mondo in cui viviamo, in qualsiasi luogo ci troviamo a vivere. Se è vero che non c’è più niente di solo locale, ciò dipende soprattutto dalla circolazione dell’informazione, dalla comunicazione tra mondi differenti e dalla convivenza di più culture. Questi fenomeni sono quelli che ci fanno vivere in un mondo nuovo con un numero elevato di possibilità e generano buona parte delle nostre paure. Ad accomunare il pluralismo, la biodiversità e l’interculturalità sono almeno quattro fenomeni che si possono ricondurre a due coppie di parole: democrazia e libertà; conflitto e cooperazione. Da molti anni importanti analisti, come il premio Nobel per l’economia Amartya Sen, mettono in evidenza la stretta interdipendenza tra libertà e democrazia, mostrando come sia molto meno probabile che uno stato democratico risolva i conflitti con il ricorso alla guerra. La libertà di scelta individuale, insieme alla possibilità di espressione, è uno dei capisaldi della democrazia e uno dei pricipali vincoli alla sua realizzazione compiuta. Quest’ultima dipende decisamente dalla capacità di cooperare tra diversi e, quindi, dalla buona gestione del conflitto. Il conflitto, in questa accezione, non è l’equivalente dell’antagonismo e della guerra, ma l’incontro tra punti di vista diversi. Dalla gestione evolutiva di quell’incontro possono nascere soluzioni originali e innovative. Se si segue questo filo del discorso si scopre che non vi è democrazia senza libertà e non vi è cooperazione senza conflitto. Intorno a questi temi la realtà trentina ha proposto nel tempo importanti contributi, mediante i quali una tradizione locale è stata capace di farsi messaggio e pratica planetaria. L’Università dei popoli della pace e l’Osservatorio dei Balcani sono due esperienze anticipatrici, di pensiero e di azione, che fanno onore a chi ha investito e investe per una cultura del dialogo e della cooperazione, sviluppando saperi e applicazioni per la buona gestione del conflitto. Di quelle esperienze gli autori di un libro appena pubblicato sono stati artefici e protagonisti di primo piano. Il libro è Darsi il tempo. Idee e pratiche per un’altra cooperazione internazionale, EMI, Bologna 2008, e gli autori sono Mauro Cereghini e Michele Nardelli. Una prima riflessione la merita il titolo. Le nostre vite, quelle di chi ha vissuto con impegno civile l’ultimo quarto di secolo del novecento, sono state vissute all’insegna della convinzione che domani avrebbe potuto essere meglio di oggi dal punto di vista della libertà, della giustizia e della riduzione delle disuguaglianze locali e globali. Un’altra convinzione, strettamente connessa alla prima, era che ognuno di noi avrebbe potuto contribuire con la propria azione diretta a cambiare il mondo. Per fare questo era ed è necessario ridefinire e reimpostare il nostro rapporto con il tempo. Quel tempo è soprattutto tempo di riflessione, il tempo che solo può consentire di pensare il fare e non solo di fare, degradandosi alle più banali manifestazioni di noi stessi. Chiunque si sia misurato con l’analisi e l’intervento per la gestione dei conflitti, come è accaduto e accade nell’esperienza degli autori del libro, sa che l’interposizione del tempo per riflettere è la prima condizione per evitare che il conflitto scada in antagonismo e perda tutta la sua capacità di generare evoluzione e cambiamento. La stessa cooperazione, a meno che non la si riduca ad una sorta di dichiarazione ideologica, esige una valorizzazione delle differenze e una loro costante composizione; cose che non sono scontate né possono essere effettivamente ottenute solo per via moralistica. La cooperazione internazionale, in tal senso, esige una posizione attenta prima di tutto ai propri limiti e ad una buona analisi delle ragioni che inducono a volersi occupare di altre popolazioni e di situazioni diverse dalla propria. Se si ritiene di avere qualcosa da fare per aiutare gli altri ad aiutarsi, allora diviene importante tenere sempre presente che non c’è niente da esportare e nessuno da istruire: c’è molto da imparare dagli altri, soprattutto a proposito dei propri limiti e dei limiti da darsi nell’intervenire. Alla base della cooperazione si può in tal modo collocare una nuova coscienza: quella di specie, come la chiama Edgar Morin. Noi oggi potremmo aggiungere la necessità di una coscienza non solo intraspecifica ma interspecifica, a partire dalla posizione distruttiva che la presenza della nostra specie ha assunto sul pianeta. La cooperazione tra i popoli del pianeta e soprattutto quella tra popolazioni impoverite e popolazioni dominatrici, non può oggi esimersi dal considerare la centralità dei limiti della forma di sviluppo che ci siamo dati. Né può bastare l’opzione della sostenibilità, che si configura sempre più come una “toppa” ideologica che lascia intatti, non affrontati né risolti, i problemi di fondo. Quei problemi riguardano soprattutto il riconoscimento del fatto che lo sviluppo oggi non è più uguale alla crescita ma alla scelta dei limiti che sapremo e vorremo darci. Così come uno sviluppo qualitativo della vita umana e delle altre specie sul pianeta non può essere in nessun modo disgiunto dalla redistribuzione delle risorse secondo un principio di maggiore equità. Tutto questo non potrà verosimilmente avvenire senza attraversare conflitti e inventare nuovi modelli di cooperazione. È proprio a questa questione che il libro dà un rilevante contributo: come trovare nuove forme di gestione del conflitto e nuove vie per la cooperazione. La costante combinazione tra esperienze concrete molto ben documentate e riflessioni teoriche appropriate, fanno del contributo di Cereghini e Nardelli un valido rapporto dal campo, utile sia a chi vuole riflettere che a chi vuole agire. Uno degli aspetti più significativi del libro è la dimostrazione che il locale può essere globale: un’esperienza che nasce in Trentino può dialogare con il mondo e mentre lo fa può contribuire a innovare e cambiare il Trentino. Un altro modo di vivere la planetarizzazione e la globalizzazione è possibile: richiede impegno ed è meno immediato dell’egoistico perseguimento degli interessi immediati. Ma è interesse di tutti coloro che hanno capito e stanno capendo che l’altro non è solo il nostro vincolo ma la nostra unica e straordinaria possibilità.

* Articolo pubblicato sul “Corriere del Trentino” del 18 novembre 2008.


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