base

home/documenti/recensioni

Alain Badiou, Sarkozy

Edizioni Cronopio, 2008

"Un libro che parla di noi"
Recensione di Ugo Morelli.

copertina“elevare l’impotenza all’impossibile significa sottrarsi al servizio dei beni, che è l’impotenza del possibile” (p. 46)

Mettetevi comodi: la paura non passerà tanto presto. Vedrete, verrà giorno e avremo ancora paura, probabilmente più paura di prima. Non solo avremo paura ma il fatto di averne ci farà paura e ci sentiremo in colpa per questo. A ben pensarci gli strati della paura e della colpa, intrecciati e inestricabili, non sono nemmeno due ma tre. Il secondo riguarda la “grande paura” che avanza, degli immigrati, degli operai, dei giovani che in modi diversi e spesso scombinati si ribellano, del “terrorismo”. La terza è la pura della paura di tutto questo e il senso permanente di insicurezza che viviamo. Entrambe queste due paure si muovono su una sorta di tappeto mobile che è il senso di disagio profondo, di paura e di colpa che il presente ci propone, per la coscienza della finitudine delle risorse, della distruttività del modello di sviluppo dominante, della crisi di vivibilità ambientale in atto. La colpa del fallimento e la paura di avere paura tendono a paralizzarci.
Si tratta di paure che riguardano da vicino la nostra stessa capacità di elaborazione dei conflitti di fronte ai quali siamo. Per non annichilire in conflitti ritenuti impossibili da gestire si tratta di curare il disorientamento e il sentimento di impotenza praticando la virtù del coraggio, sostiene Alain Badiou. Si tratta di “tenere fermi” come punti di orientamento politico proprio quelli che il discorso dominante considera “impossibili”, irrealizzabili. Di questi punti di orientamento Alain Badiou ne indica otto nel libro e, se vi metterete in ascolto, un ascolto aperto e disposto allo stupore, potrete accorgervi come me di quanto ci siamo accecati vagando nella paura, fino a perdere il senso del possibile. Ma prima di approfondire le riflessioni dell’autore conviene togliersi una curiosità. Che cosa c’entra Sarkozy, il presidente della Repubblica francese? Sarkozy è il pretesto dell’analisi di Badiou, un pretesto preso a prestito da quel presente che ci fa paura e che merita di essere affrontato a viso aperto e a fronte alta, come fa l’autore, cominciando col chiedersi di che cosa è il nome un fenomeno come Sarkozy. Se “una politica propone i mezzi per passare dal mondo così com’è al mondo così come vogliamo che sia” (p. 59), Sarkozy e tutte le figure e situazioni che gli somigliano è prima di tutto il nome della crisi della politica come senso del possibile. È, inoltre, il nome dei mezzi di comunicazione, dalla televisione alla stampa, che “sono forze di irragionevolezza e d’ignoranza davvero spettacolari. La loro funzione è, infatti, quella di propagare gli affetti dominanti” (p. 8). In questo caso l’affetto collettivo propagato potrebbe essere chiamato “la grande paura”. In questa situazione “il voto produce un’illusione particolare, facendo passare il disorientamento attraverso il finto filtro di una scelta” (p. 19). “La democrazia è spesso la copertura per poteri oligarchici e mediatici”, dice Badiou in un’intervista rilasciata a Fabio Gambaro in occasione dell’uscita dell’edizione italiana del libro (la Repubblica, lunedì 28 luglio 2008). Si mescolano, in questa situazione, affetti di pulsione negativa, di nostalgia storica e d’impotenza effettiva. La mescolanza dà vita ad una sindrome depressiva in cui è difficile tenere fermo qualsiasi punto. Eppure, ci dice Badiou, “tenere fermo un punto significa esporre l’individuo animale che ciascuno di noi è a divenire il soggetto delle conseguenze di quel punto” (p. 39). Trovare un punto significa trovare la possibilità di ammettere una durata differente. Significa darsi il tempo, costruire un tempo altro rispetto a quello che ci assegna lo Stato o lo stato di situazione. “Un tempo impossibile, ma che sia il nostro tempo” (p. 40). Sono la pensabilità e l’immaginazione le vie da coltivare se non c’è niente che fa breccia nella realtà, se non c’è niente che si dà in eccezione rispetto ad essa, se non c’è nessun punto che possa essere tenuto fermo per sé. Si tratta di cercare di “fare qualcosa che non sia interno alla temporalità che ci viene proposta”, né che subisca le regole imposte, ma frutto dell’immaginazione del possibile. Badiou si avvicina a quella che chiama una prima conclusione, prima di proporre i suoi otto punti fermi per affrontare, sì affrontare, la paura: “elevare l’impotenza all’impossibile significa sottrarsi al servizio dei beni, che è l’impotenza del possibile” (p. 46). La tavola dei possibili è vibrante di una forza insolita di questi tempi e si propone in grado di affrontare la paura per gestire i conflitti del presente. Senza commenti, il punto uno sostiene: “Accettare che tutti gli operai che lavorano qui siano di qui e debbano essere considerati in modo egualitario, onorati come tali, in particolare gli operai di provenienza straniera”. Il punto due: “L’arte come creazione, di qualunque epoca e di qualunque nazionalità, è superiore alla cultura come consumo, per quanto contemporanea sia”. Il punto tre: “La scienza, che è intrinsecamente gratuita, vince necessariamente sulla tecnica, anche e soprattutto quando questa procura profitti”. Il punto quattro: “L’amore deve essere reinventato (punto detto di Rimbaud) o semplicemente difeso”. Il punto cinque: “Ogni malato che chieda a un medico di essere curato deve essere visitato e curato il meglio possibile, secondo le condizioni attuali della medicina che il medico conosce, e questo senza nessuna restrizione di età, di nazionalità, di cultura, di statuto amministrativo o di risorse finanziarie (punto di Ippocrate). Il punto sei: “Ogni processo che abbia fondati motivi per presentarsi come il frammento di una politica di emancipazione deve essere considerato superiore a qualsiasi necessità gestionale”. Il punto sette: “Un giornale che appartiene a ricchi manager non deve essere letto da chi non è né ricco né manager”. Il punto otto: “C’è un solo mondo”. Il primato dell’azione è la via che Alain Badiou propone per esserci nel presente e fare i conti con la paura. Il nostro problema è il modo in cui l’idea, guidata dall’ipotesi, si presenta nelle figure dell’azione. Tra gestione del conflitto e progetti possibili di emancipazione, ci pare si tratti perciò di mettersi scomodi rispetto al presente e ai suoi invasivi protagonisti, per cercare di accorgerci che c’è un solo mondo e abbiamo una sola vita per esserci ed esserne responsabili.


Stampa il documento


Segnala questo testo ad un amico