base

home/documenti/recensioni

Renato Kizito Sesana, Io sono un Nuba. Dalla parte di un popolo che lotta per non scomparire

Sperling & Kupfer Editori, Milano 2004

Recensione di Ugo Morelli


copertina“Continuo a imbattermi in studiosi, artisti e intellettuali sofisticati che ancora ritengono che la diffusione dei McDonald’s in molte città del mondo, o l’arrivo dell’inglese, della Coca-Cola, della musica country, dell’antropologia e del turismo in luoghi come la Nuova Guinea abbiano in qualche modo causato automaticamente la completa distruzione di affiliazioni locali e generato una cultura mondiale omogenea. Le agency incrociate, e le contraddizioni della vita quotidiana, semplicemente scompaiono. Che visione parziale, eurocentrica….. e così soddisfacentemente tragica!” Così dice James Clifford in un’intervista recentemente pubblicata in italiano (J. Clifford, Ai margini dell’antropologia, Meltemi, Roma 2004; p. 39). Non scompaiono le contraddizioni, i conflitti, le trasformazioni e la generatività nel racconto etnografico in presa diretta, che è anche racconto di una vita, che Kizito, missionario comboniano, fa della sua presenza con i Nuba del Sudan. Non scompare neppure la tragedia di un popolo vittima di un genocidio reiterato e sistematico di cui nessuno parla. La lotta dei Nuba li vede impegnati in quello che forse è il supremo dei conflitti, la ricerca della via “per essere se stessi”. Il silenzio e l’indifferenza, una delle modalità più problematiche e attuali di elaborare il conflitto, è il primo problema con cui il libro fa i conti. La prima frase del libro è una domanda che Kizito dice di sentirsi rivolta ogni volta che parla dei Nuba in Italia e in Europa: “ma se quello che ci ha detto è vero, perché della guerra in Sudan si parla così poco, e ancor meno si parla dei Nuba?” Il libro, a cura di Pier Maria Mazzola, attraversato dalla passione dell’amicizia con il popolo Nuba da parte di un missionario che ha letteralmente perforato la cortina del silenzio facendosi portare clandestinamente da un aereo nel loro territorio proibito, contribuisce ad affrontare l’indifferenza e tesse le interdipendenze con l’alterità come condizione della vita e della conoscenza. Le differenze e gli scacchi delle categorie esterne nella lettura di questo mondo africano si susseguono e vanno dal riconoscimento dell’identità plurale di un popolo, alla evoluzione culturale per ibridazione nonostante la “fissità” con cui spesso si continuano a considerare i pluriversi culturali, al rapporto tra indigenza economica, resistenza e riscatto in questa “terra di lotta e miele”. Creare processi inculturati vuol dire essere all’altezza della situazione culturale, politica, sociale ed economica, dalla parte delle persone, così come si evolvono, e delle affiliazioni locali, ibridate, tradizionali e inedite. Per questa strada difficile si muove l’esperienza di Kizito, con una alta capacità di stare nei conflitti e di attraversarli, là dove la vita trova la sua espressione più compiuta mentre si misura con i vincoli e un popolo cerca di essere se stesso.


Stampa il documento


Segnala questo testo ad un amico