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Complessità

di Luca Mori

Complessità rimanda a ordini emergenti inesplicabili compiutamente (order from noise, order from complexity): soltanto ciò che è complicatum, infatti, può essere esaustivamente explicatum. Un foglio di carta può essere piegato e ripiegato su se stesso molte volte: cambia l’aspetto, cambiano la forma e le relazioni tra le facce in modo complicato; l’insieme dei movimenti che è stato fatto ripiegando il foglio può essere percorso a ritroso, e successivamente riprodotto. Si tratta di un passaggio da ordine a ordine, e c’è reversibilità; “dietro” il nuovo assetto del foglio di carta ripiegato – in quanto non è un ordine emerso o auto-prodotto – è comune supporre una qualche intenzione, una mano. Non così per l’ordine dei sistemi complessi, che è processualmente emergente e si alimenta di conflittualità.
In quanto riguarda una molteplicità di fenomeni che vanno dal mondo prebiotico (p. e.: fenomeni della termodinamica come le celle di Bénard) al mondo vivente (cellula, organismo, società, menti…), non si dà un paradigma della complessità. Si può parlare piuttosto di un orizzonte epistemologico, frastagliato e plurale nelle connessioni che lascia intuire tra diversi ambiti di ricerca o livelli di realtà.
Bonnet e Malebranche ritenevano inconcepibile che potesse formarsi, dalla combinazione di un seme e di un uovo, un organismo compiuto; lo ritenevano inconcepibile specificando che è cosa impossibile in base alle leggi della trasmissione del movimento. Descartes e Leibniz erano d’accordo nel sostenere che non può essere “naturale” per la materia il pensare e che, dunque, il pensiero dev’essere calato in qualche modo dall’alto nella mente umana: cosicché il pensiero umano non rappresentava soltanto una “discontinuità nella natura”, bensì un salto extra naturam.
Nell’orientamento epistemologico della complessità sono stati elaborati concetti e metafore che ridefiniscono i termini dell’inconcepibilità di cui hanno scritto Bonnet, Malebranche, Descartes e Leibniz. Ad esempio, quanto allo sviluppo di un organismo dal momento della fecondazione (o al pensare umano), l’approccio della complessità non li ritiene processi inconcepibili e impossibili senza un intervento “miracoloso”. L’inesplicabilità di cui s’è detto in apertura non rimanda infatti al miracoloso. Cambiano anzitutto, rispetto al meccanicismo moderno, gli assunti preliminari, ossia che in natura si diano soltanto (1) leggi di trasmissione di movimenti reversibili, (2) linearità, (3) ordine dall’ordine, e così via. Pensare la complessità significa pensare le discontinuità nella natura (dunque pensarle come scarti evolutivi, proprietà emergenti, trasformazioni di nessi quantità-qualità…). Si tratta, giustappunto, di un nuovo orizzonte epistemologico, ove s’introducono e si combinano le nozioni di emergenza dal basso, auto-organizzazione, non linearità, non equilibrio, auto-trascendenza evolutiva, inter-retroazione, e così via. I sistemi complessi restano comunque nel dominio dell’inesplicabile, ma questo non è più l’inconcepibile, l’impossibile o il “miracoloso” della tradizione.
È significativo che l’esempio dei due semi – un incontro generativo, indispensabile per l’evoluzione di nuove forme – sia centrale nell’etimologia del conflitto (confligere) riscoperta da Luigi Pagliarani (vedi ABC di Polemos, voce Conflitto): ciò che lasciava perplessi Bonnet, Malebranche e tanti altri, diventa nuovamente significativo per chi ricerca nell’orizzonte epistemologico della complessità, come lo fu peraltro nell’approccio di Lucrezio (ma anche in quello di Aristotele).

Di complessità s’inizia a parlare attorno alla metà del XX secolo. Risale al 1948 un articolo di Warren Weaver intitolato Science and Complexity (su American Scientist), in cui l’autore, un matematico, distingueva tra sistemi dinamici semplici (poche variabili), a complessità disorganizzata (molte variabili sconnesse nei comportamenti) ed a complessità organizzata. In questi ultimi si dà una connessione tra l’evoluzione delle molte variabili costitutive del sistema.
Si deve aggiungere che, in quanto i sistemi complessi sono “chiusi” dal punto di vista organizzativo e termodinamicamente aperti all’ambiente (“socchiusi”, ha suggerito Ugo Morelli in un convegno a Castiglioncello), si dà co-evoluzione tra i sistemi in relazione e tra i sistemi e l’ambiente (visione sistemica ed ecosistemica).
Il proposito di definire l’identità sussistente di un sistema isolato, a prescindere dalle relazioni in cui esso si trova e da cui emerge, perde senso; diventa un’evidente pretesa di riduzionismo. Nella relazione, che è in senso lato relazione comunicativa, i sistemi complessi si integrano e co-definiscono la propria “identità” emergente e processuale. Di ciò è un esempio il fenomeno dell’accoppiamento strutturale: due sistemi complessi in relazione d’inter-retroazione si co-strutturano (laddove la struttura è l’implementazione concreta dell’organizzazione).
Nell’orientamento epistemologico della complessità, la relazione diventa importante almeno quanto gli elementi correlati. Un particolare tipo di relazione è quella tra osservatore ed evento: su questo punto, l’impostazione della complessità – come altri sviluppi della ricerca scientifica novecentesca – richiede il superamento della concezione della verità e dell’obiettività in termini di mera replicazione, di rispecchiamento o di corrispondenza punto-punto. L’osservatore della complessità deve inoltre tener conto dell’incomprimibilità algoritmica (Chaitin, Kolgomorov) dei sistemi complessi, ovvero del fallimento della mera logica aritmomorfica (per usare un’espressione dell’economista Nicholas Georgescu-Roegen).
Non c’è una misura della complessità. La complessità è, per così dire, il modo d’essere della natura che, attraverso il confligere lucreziano e le conseguenti emergenze, evoluzioni e meta-evoluzioni (evoluzione dei processi evolutivi), ha generato e genera molteplici forme inaspettate. Quel confligere che espone sempre al rischio – sul crinale sottile e ambiguo che separa la generazione di forme dalla degenerazione – dall’origine di cui soltanto il mito può raccontarci si riverbera in tutti i fenomeni della natura e, in modo emblematico, nel comunicare e meta-comunicare umani, nell’apprendere ad apprendere e a disapprendere, nel dirsi e sentirsi ad un tempo uno e molteplice, e dunque duplex. Da e con questa duplicità Homo sapiens-insipiens emerge, osservatore complesso della complessità.