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Dove va il lavoro?

di Ugo Morelli / scritto il 09-05-2011

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I recenti provvedimenti della Provincia Autonoma di Trento in materia di lavoro giovanile fanno pensare che qui il valore del lavoro è riconosciuto come fonte di senso e significato per la vita e per la società, oltre che un dato originario interno per ognuno di noi. Una delle vie principali per dare senso alla nostra vita. Ancor più si qualificano quei provvedimenti, se messi a confronto con le tendenze dominanti nel modo di intendere il lavoro e chi lo svolge. In occasione della recente assise generale della Confindustria a Bergamo, la presidente Marcegaglia, commentando la sentenza Thyssen, che ha condannato per omicidio colposo l’azienda per la morte di sette operai nell’incidente del 6 dicembre 2007 nell’acciaieria di Torino, ha dichiarato che “una tale sentenza può allontanare gli investimenti esteri”, e che “se passa questa logica nessuno farà più investimenti da noi”. L’assemblea aveva, a sua volta, a lungo applaudito l’amministratore di Thyssen, Harald Espenhahn. Non è facile commentare un simile evento e d’altra parte non è possibile tacere. Tre sono le questioni che paiono prioritarie da considerare, quella relativa alle regole; quella sociale ed economica; quella etica. In un paese in cui sempre più si afferma paurosamente la tendenza a pensare e ad agire ritenendo le regole un insopportabile fastidio e un ostacolo alla felicità, la discussione di una sentenza dovrebbe essere auspicata e proposta nelle sedi deputate; in particolare da chi, come ha sostenuto la presidente Marcegaglia a Bergamo sostiene: “siamo noi che teniamo in piedi il paese”. Se la sentenza che ha condannato per omicidio colposo la Thyssen, in quanto aveva del tutto evaso le misure di sicurezza, può essere impugnata, ciò deve essere fatto nelle sedi che le regole di questo paese prevedono, verso le quali siamo tenuti a esprimere rispetto e tutela se vogliamo il diritto di criticarle. Da un punto di vista sociale ed economico, se la Thyssen ha investito in Italia avrà avuto i suoi vantaggi, e se un paese o un sistema locale sono attrattivi, ciò non dovrebbe dipendere dalla leggerezza delle norme, ma dalla capacità di offrire opportunità sistemiche e di rete che possono rendere vantaggiosi quegli investimenti. Oltre alla considerazione sulla natura e le caratteristiche del settore delle acciaierie per il sistema Italia e per i nostri progetti di innovazione economica. Ma è la questione etica che pone i problemi più rilevanti. Immaginiamo una bilancia: su un piatto ci sono sette morti, che si aggiungono ai più di mille morti all’anno per incidenti sul lavoro in Italia; sull’altro il rischio che la sentenza allontani gli investimenti. Non siamo noi a fare questo paragone, ma la dichiarazione espressa a Bergamo dalla presidente di Confindustria. Vorremmo non commentare. Solo vorremmo domandarci che tipo di società stiamo costruendo e dove sta andando il significato umano, civile ed economico del lavoro. Vorremmo che la nostra capacità di riflettere, non contro qualcuno, ma per una civiltà del lavoro e una civiltà tout-court, si soffermasse un momento a pensare.

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