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Chi e' attento al lavoro

di Ugo Morelli / scritto il 15-07-2013

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Il lavoro ha ricevuto in questi giorni un’attenzione istituzionale tanto inattesa quanto straordinaria. La presidente della Camera Laura Boldrini ha rifiutato un invito per una visita a una fabbrica Fiat «causa impegni istituzionali già in agenda», approfittando della missiva di risposta per esprimere la propria posizione su lavoro, sviluppo del Paese e civiltà. In quella risposta la presidente dice quello che finora ben pochi politici hanno avuto il coraggio di affermare: «Affinché il nostro Paese possa tornare competitivo è necessario percorrere la via della ricerca, della cultura e dell’innovazione. Una via che non è in contraddizione con il dialogo sociale e con costruttive relazioni industriali: non sarà certo nella gara al ribasso sui diritti e sul costo del lavoro che potremo avviare la ripresa». È bene considerare che le affermazioni di Laura Boldrini sono strettamente in linea con la nostra Costituzione. Che ci suonino particolarmente eccezionali ci aiuta solo a comprendere quanto siamo assuefatti a sentir parlare altri linguaggi e quanto siamo caduti in basso in termini di diritti e di lavoro. Anche nei linguaggi dell’imprenditoria locale il lavoro o non appare o appare come costo. Stentiamo a capire che avremo una società più giusta, una nuova stagione di sviluppo e una ripresa dei consumi solo se il lavoro e i diritti non saranno considerati al ribasso. Non solo la voce della presidente della Camera ci appare portatrice di un segno di civiltà, ma importanti sono anche i silenzi e i commenti che ha suscitato. A fronte di reazioni scontate da parte dei soliti detrattori di ogni forma di diritti, o da parte di chi non tollera Laura Boldrini perché si è ostinata e si ostina a pensare che gli immigrati sono persone, il silenzio o le considerazioni critiche di forze politiche che sul lavoro e i diritti hanno costruito la propria storia fanno un certo rumore. Ciò evidenzia quanto l’ideologia iperliberista si sia affermata, al di là dei confini delle forze che l’hanno promossa e praticata. È come se si fosse prodotta una scissione tra ciò che si continua a dire con le parole e una certa posizione politicamente corretta che non riesce a mettere al centro il lavoro e i diritti. Non si capisce come si possa inventare e pensare nuove forme di economia senza partire dal lavoro, dalle conoscenze e da una civiltà dei rapporti lavorativi, degni di tali nomi. Le strade intraprese sino ad ora mostrano tutti i loro fallimenti. Portano a crolli della produzione, alla chiusura delle imprese e alla caduta dei consumi. Come è evidente anche da noi in questi mesi. Non è pensabile un modello di sviluppo appropriato alle nostre realtà se non coniugato con la valorizzazione del lavoro, con la tutela dei diritti di rappresentanza, di parola e di partecipazione dei lavoratori. Né è pensabile una via per affrontare il problema principale, che è il lavoro dei giovani, senza mettere mano a una nuova fase di umanesimo e civiltà del lavoro.

http://www.ugomorelli.eu