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Lo strabismo dell’uomo pratico.

di Luca Mori / scritto il 19-10-2006

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Nei dibattiti pubblici su questioni rilevanti per la politica e la formazione non manca mai l’interlocutore che esordisce sostenendo di non interessarsi dei “grandi dibattiti teorici”, e di voler mostrare piuttosto quali sono i problemi concreti e le soluzioni migliori per affrontarli. L’idea è molto semplice: ci sarebbero da un lato i modi pratici e concreti di affrontare problemi pratici e concreti, e dall’altro i modi teorici, inutili elucubrazioni fini a se stesse buone per i “professori”.
Questa attitudine così disinvolta nello screditare il discorso teorico è talmente diffusa e pericolosa che sento l’esigenza di darle un nome e di denunciarla: è lo strabismo dell’uomo “pratico”, che vede necessariamente divaricate la teoria e la pratica. Ma egli non vede bene né l’una né l’altra. L’uomo “pratico” è confermato nella sua posizione dall’efficacia demagogica della strategia comunicativa e dalle semplificazioni che ha deciso di adottare, e non s’impegna minimamente a distinguere tra dibattiti teorici e pseudo-teorici: nelle sue parole viene d’un tratto screditato tutto ciò che non sia descrizione o prescrizione locale relativa a problemi concreti. Il pericolo di quest’attitudine semplificante e mistificante sta precisamente nel fatto che si vedono solo soluzioni locali a problemi locali. Senza che l’uomo “pratico” se ne avveda, “sotto” la sua posizione così apparentemente disinvolta e concreta è operativa un’epistemologia. Purtroppo, un’epistemologia banalissima, che ha prodotto tanti danni nella storia di Homo sapiens. Affrontare questioni relative all’educazione e alla politica non è cosa da farsi con la stessa disposizione di un meccanico che si accinge a riparare il motore di un’automobile: lì, sì, il problema locale concreto richiede una soluzione locale. Ma non è così che possono operare un medico, un politico o un educatore. C’è chi crede nelle implicazioni pratiche della teoria e nell’importanza della teoria per l’immaginazione di pratiche. Credo che l’orientamento epistemologico della complessità sia il più indicato anzitutto per pensare e focalizzare quel nuovo nesso di teoria e pratiche che Homo sapiens dovrebbe finalmente apprendere.
Discutendo dei conflitti interculturali, l’uomo “pratico” non vuol sentire parlare di questioni teoriche relative alla cultura, all’integrazione, all’intercultura e ai conflitti, ma proclama con enfasi: Ci dev’essere qualcuno che insegna italiano ai bambini che non parlano italiano. Ci dev’essere qualcuno che finanzia la costruzione di una Moschea per le comunità mussulmane che ne hanno bisogno. E così via. Problemi reali e urgenti, che solo una caricatura di teorico potrebbe ignorare. Ma l’errore sta nel pretendere di affrontarli con soluzioni locali per problemi locali. Ci sono dinamiche che evolvono al di sotto e al di sopra dei problemi individuabili con questo approccio. Ci sono modi dell’emarginazione e della omogeneizzazione forzosa che non possono essere risolti senza ridiscutere le epistemologie implicite nel nostro modo di operare. Lo straniero mette in discussione ad esempio il nostro modo di pensare la democrazia (siamo mai riusciti a garantire eguaglianza di opportunità e di diritti? È possibile?) e l’economia: sono critiche viventi della distribuzione internazionale della ricchezza. Ma si vorranno ripensare le agende politiche e formative senza una teoria? Chi pretende di farlo, è già sicuramente inconsapevole dell’epistemologia operativa sotto le sue dichiarazioni.
Negli ultimi due anni, questa è una delle cose più significative che ho appreso e della quale sono convinto. La devo al Laboratorio filosofico sulla complessità voluto dal Comune di Rosignano Marittimo e dal Preside della Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Pisa, Alfonso Maurizio Iacono: qui c’è la possibilità di fare teoria e di immaginare pratiche, e di ripensare insieme l’una e le altre. Moltissimo devo al felicissimo incontro con Polemos e alle discussioni con Ugo Morelli e Carla Weber. Del Comune di Rosignano Marittimo, che mi ha dato occasione di dibattere e sperimentare su questi temi e che ha avuto il coraggio di promuovere un Laboratorio filosofico sulla complessità, sono riconoscente anzitutto a Vincenzo Brogi e a Valeria Tesi, agli assessori Alessandro Franchi e Fiamma Nesi e al Sindaco Alessandro Nenci; e, non meno, a tutte le persone – insegnanti, genitori, studenti, bambini – con cui ho potuto confrontarmi.

(Luca Mori)