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Lavoro, sicurezza e propaganda

di Ugo Morelli / scritto il 13-12-2010

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Provate a immaginare un operaio, un impiegato, un lavoratore in generale, che dica: a me la sicurezza sul lavoro non interessa, non la chiedo e non me ne occupo. Non è attendibile, vero? Eppure la campagna, immaginiamo anche costosa, che il Ministero del lavoro ha promosso in queste settimane allude proprio a qualcosa del genere. È facile rendersene conto sia a Trento che a Bolzano, andando alle stazioni ferroviarie o in altri luoghi di passaggio. Immagini e parole che riguardano scene di vita familiare e sollecitano emozioni profonde, richiamano la responsabilità individuale di occuparsi della sicurezza e di pretenderla, nei luoghi di lavoro. È bene sapere che siamo un paese con uno dei più alti tassi di mortalità e di incidenti sul lavoro, senza grandi differenze tra provincie e regioni. Siamo diventati allo stesso tempo uno dei paesi col più alto tasso di disoccupazione in Europa, una disoccupazione soprattutto giovanile. In questa situazione ve lo immaginate voi un dipendente, operaio o impiegato che sia, che dica al proprio datore di lavoro: se non crei le condizioni di sicurezza adeguate io qui non lavoro? Vi è poi una questione di competenza. Come è noto, sono necessarie competenze specifiche per individuare le fonti di rischio e intervenire per controllarle e eliminarle. Qual è quindi l’idea implicita nella campagna del Ministero? Al solito si tratta, tra gli altri, di due modi di intendere la società e la politica, che stanno pregiudicando il vivere civile e la democrazia nel nostro paese. Il primo è l’individualismo. Se le cose vanno o non vanno l’unica possibilità è che ognuno si arrangi o pensi per sé. Se ti fai male o, peggio, muori lavorando la responsabilità è tua. Si tratta dell’altra faccia della medaglia dell’ideologia, a cui tutti aderiscono, che sostiene che l’impresa sarebbe una realtà privata che esiste per fare profitto. Anche in base al Codice civile, in questo paese, l’impresa può esistere perché vi sono le condizioni che la fanno nascere e vivere; quindi è una realtà sociale che, se produce beni o servizi che il mercato preferisce, remunera i fattori di investimento e il lavoro, e produce utili per chi ha investito. La responsabilità della sicurezza nei luoghi di lavoro è, perciò di tutti, ma soprattutto di chi ha più potere, come dovrebbe essere in ogni campo. Il secondo modo di intendere la società e la politica che ci sta facendo regredire in termini di civiltà e qualità della società in cui viviamo, è quello che traduce tutto in marketing e propaganda. Non conta la sostanza delle cose ma il modo in cui la racconti. Con quella campagna pubblicitaria il Ministero del lavoro si propone come un’istituzione che si sta occupando della sicurezza. Poco conta se le azioni concrete per realizzare la sicurezza non sono al centro di programmi precisi e di azioni concrete. La propaganda prima di tutto e ognuno si arrangi, se no la colpa è sua. Il lavoro, la sua disponibilità e la sua sicurezza, sono una delle fonti del vivere civile tra le più importanti e una ragione decisiva della dignità umana. Attendiamo perciò che si torni a fare scelte che riconoscono il valore del lavoro e la dignità di chi lo svolge.

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