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Complotti e paura

di Ugo Morelli / scritto il 20-09-2010

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La scienza dei complotti funziona perché appaga la nostra aspettativa di rassicurazione. E allora ci convinciamo che complotti ne fanno i rom, gli immigrati e perfino coloro che cercano di mettere in evidenza gli effetti dei nostri comportamenti distruttivi sull’ambiente e sul clima. L’idea del complotto crea una specie di magnete trasformatore che attrae e fornisce un contenuto all’ansia e alla paura. Un magnete che trasforma la paura in domanda di sicurezza, tangibile, immediata, pratica, risolutrice. Ci rassicuriamo convincendoci che siamo circondati da complotti. Nel momento in cui giungiamo a pensare, collezionando quelle che chiamiamo “prove”, che con la sua presenza qualcuno ci mette in pericolo, abbiamo finalmente definito la ragione della nostra insicurezza. Quella definizione segna, appunto, un confine. Chi sta dall’altra parte con la sua sola esistenza è un pericolo per noi e, perciò deve essere espulso o eliminato. Il complotto è uno dei frutti più rilevanti delle avventure della mente. Il suo risultato più influente è l’invenzione del nemico. Non l’hostis dell’analisi di Carl Schmitt, una figura politica definibile, bensì il “nemico metafisico”, una sua immaginazione consistente, in grado di costruire e influenzare i comportamenti individuali e collettivi. Proprio perché è inventato il complotto è forte. In quel modo non è verificabile la sua pericolosità effettiva. Allora basterà richiamare il pericolo che comporta per vedere aumentata la sua efficacia. Poche cose come il complotto mettono in evidenza i limiti della razionalità umana. O meglio, il fatto che la spiegazione razionale dei fenomeni non è ciò che la mente umana cerca per prima. Quando pensiamo e ragioniamo sono in azione, per semplificare, almeno due modi di procedere. Il primo che si ritiene sia più antico nella storia dello sviluppo umano, è stato chiamato intuitivo, naturale e automatico. Il secondo, più recente nell’evoluzione della nostra specie, permette il ragionamento logico e richiede investimento più elevato per essere messo in atto. Di fronte a situazioni e fenomeni che mettono in discussione le nostre abitudini e creano discontinuità, noi tendiamo immediatamente e spontaneamente ad affidarci all’intuizione e ad agire di conseguenza. In quel modo le nostre azioni saranno immediate e pratiche e ci sembreranno appaganti, perché sembrano le più semplici e le meno costose. Le conseguenze di questa tendenza alla via più facile possono essere molto costose, in molti campi. Quando si insiste per valorizzare il ruolo della conoscenza applicate nelle scelte di un sistema locale, dall’integrazione delle differenze etniche alle scelte di un modello di sviluppo appropriato, è bene tenere conto che il rischio dei complotti e della semplificazione eccessiva è sempre in agguato.

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