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Conflitto e generazioni

di Ugo Morelli / scritto il 07-03-2011

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Marx (non Karl, Groucho), come è noto e come ricorda Serge Latouche nel suo ultimo libro: Come si esce dalla società dei consumi, appena pubblicato da Bollati Boringhieri, diceva: "Perchè dovrei preoccuparmi dei posteri? I posteri si sono mai preoccupati di me?" E' probabile che la generazione a cui appartengo, avendo io 59 anni, si sia insediata nelle posizioni chiave della nostra società e della nostra economia con un narcisismo e un egoismo che meritano di essere compresi, non solo da un punto di vista storico-sociale, ma anche psicologico. Su quest'ultimo punto vorrei dare un piccolo contributo alla bella introduzione di Alessandro Franceschini su www.politicaresponsabile.it. Le ragioni che a parer mio possono aiutarci a comprendere il blocco impressionante della nostra società e la pervasività della conservazione in atto possono essere almeno quattro.
1) La prima riguarda il sentimento da "fine del mondo" della nostra epoca, nella maggior parte dei casi strisciante, a volte palese. I limiti del nostro modello di sviluppo, negati o riconosciuti, sono sotto gli occhi di tutti. Tutti sappiamo dentro noi stessi che stiamo ballando sul ponte del Titanic. C'è chi prova a non ballare e ad additare gli iceberg: pochi e spesso irrisi; c'è chi balla con qualche preoccupazione e qualche palliativo; la maggior parte balla con furia mentre mangia e beve, afferrando finchè ce n'è tutto quello che può. Siccome la mente umana è incarnata, plastica e empatica, la mimesi, quel processo che porta noi a desiderare non le cose in sè ma ciò che desiderano gli altri e il desiderio degli altri, tende a creare una visione, una mentalità e una pratica del mondo angoscianti ma ossessivamente messe in atto. Ci vorrebbe una forte e radicale discontinuità ma non è facile prevederla e praticarla. Da questo stato di cose discendono un orientamento e una prassi del "chi è dentro è dentro, chi è fuori è fuori".
2) L'individualismo autointeressato che alimenta (e da esso si fa alimentare) il liberismo economico imperante, soprattutto in occidente ma sempre più nel mondo intero, ha preso piede negli anni '80 del secolo scorso e a noi oggi sembra che sia sempre stato così. Non è vero, come ricorda bene Tony Judt in un bel libro da leggere che è: Guasto è il mondo, appena pubblicato in Italia da Laterza. "Il materialismo e l'egoismo della vita contempranea non sono aspetti intrinseci della vita umana", scrive Judt. Ma oggi viviamo e pensiamo come se lo fossero. Combinato con l'utilitarismo predicato da ogni parte e praticato in maniera diffusa, l'individualismo è divenuto una religione selvaggia e l' "altro" e gli "altri" un mezzo per realizzarlo.
3) La condizione di funzionamento del capitalismo nella sua fase matura, nell'epoca della crisi delle sue componenti razionali, è la spinta esasperata al consumo di merci sempre più sovrabbondanti derivanti da una sovraproduzione ritenuta ineluttabile in nome dell'equazione sviluppo=crescita. In questa situazione, in termini psicologici individuali e collettivi, i comportamenti sono spinti verso il godimento ad ogni costo. Ne deriva la crisi del principio del piacere e la messa in discussione di ogni autorità in grado di contenere le spinte individuali. Il valore della interiorizzazione del legame sociale e delle istituzioni che ci fondano sta nel far uscire da noi il meglio e contenere il peggio. Ma può accadere anche il contrario e, in questo tempo, pare proprio che accada, con esiti narcisistici e deliri di eternità che sono sotto gli occhi di tutti. Basti osservare che non riusciamo più ad usare la parola "vecchio", nobile e bellissima, e la parola "morte", vera fonte di una cultura del limite per la ricerca di una vita sufficientemente buona.
4) Tutto questo è accaduto e accade mentre viviamo la crisi più grave del nostro tempo. e non mi riferisco alla crisi economica, bensì alla crisi dei sistemi educativi, familiari e pubblici, come analizza bene Martha C. Nussbaum nel suo libro Non per profitto, ora pubblicato in Italia da Il Mulino. Non possiamo pensare che i valori fondativi come la democrazia e l'altruismo, la cooperazione e l'etica della fiducia, vivano senza educare ad essi. G. Zagrebelsky ha chiarito questo punto a proposito dell'educazione alla democrazia. L'educazione al narcisismo nelle famiglie, laddove ogni bambino è un re, salvo divenire poi un mendicante con l'avvento della prima adolescenza, e la disattenzione, per essere leggeri, verso l'educazione alla riflessione, al pensiero, al ragionamento, all'etica, alle istituzioni, nelle scuole, non solo a parole ma con le prassi scientifiche e relazionali, hanno creato e creano un humus deresponsabilizzante e decapacitante, che risulta persino tiepido e conveniente, ma individualmente e socialmente distruttivo.
Che fare?
Alessandro Franceschini, nella sua lucida analisi, indica tre opzioni e la sua terza opzione è, ovviamente, quella preferibile. E' la più difficile e per questo anche la più importante. i segnali devono essere attendibili e per essere attendibili devono essere costosi. Si tratta di organizzare il disagio e confliggere. Il conflitto come incontro tra differenze è la via. Un esempio per preparare la capacità di confliggere bene è la formazione di alto profilo che rinforzi la capacità propositiva dei giovani. Dirigo Master post-laurea da circa un quarto di secolo e, se strutturati e gestiti come fucine delle competenze e dell'educazione alla progettualità, con attenzione all'educazione all'espressione di sè, sostenendo l'incontro e la negoziazione con le istituzioni e le imprese di inserimento, aumentano decisamente le possibilità di espressione, di entrata e di protagonismo per i partecipanti. Siccome si vuole disinvestire, anche qui, da questi programmi, anche perchè sono impegnativi e richiedono nuovi metodi e molta dedizione, allora questo è un terreno di azione e un esempio, magari piccolo, ma concreto, perchè gli sguardi delle giovani e dei giovani che si sentono considerati e che vedono aumentare la propria capacità in termini di conoscenza, metodi e possibilità di esprimersi ed essere se stessi, sono impagabili.
Come diceva Rainer Werner Fassbinder nella sua autobiografia: "sono i figli del falso amore i principali responsabili del male sulla terra".
Nella tradizione ebraica, a fronte di una lunga disputa su come avesse fatto Dio a creare il mondo, visto che Egli era già tutto, dopo anni di confronto un rabbino ritenne di risolvere la questione dicendo: "Per creare il mondo, Dio un po' si ritira".
Era Dio. A noi tocca di confliggere bene e in modo sano e appropriato e, per chi educa, di educare a confliggere preparando capacità, conoscenze e personalità in grado di farlo.
L'impegno dovrebbe essere in quella direzione.
Sentii, quando avevo cinque anni, il mio bisnonno Basilio che ne aveva novantuno, rispondere a un passante che gli chiedeva come mai a quell'età piantasse delle piante da frutto visto che non ne avrebbe mangiato i frutti, che io, il suo pronipote, nel mangiarli avrei pensato a lui e parlato di lui. E questo è successo e succede ancora.

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