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John Grant, Green Marketing, il manifesto

Franco Brioschi editore, 2009.
Recensione di Marco Del Frate.


“Ecologia e marketing remano una contro l’altro, una vuole farvi consumare di meno l’altro di più”. Con questa provocazione Grant, affermato consulente di marketing anglosassone pone sin dall’inizio del suo lavoro il tema principale del “manifesto”. Il libro si inserisce nel filone del marketing non convenzionale che propone l’aggiornamento della disciplina ai rapidi mutamenti della società. Le argomentazioni riportate vengono sostenute da numerosi esempi pratici, descritti in modo semplice e piacevole che aiutano il lettore ad approfondire la tesi proposta. Il Green Marketing (d’ora in poi GM) è un metodo di lavoro che vuole superare l’antagonismo tra mercato ed ecologia, orientando le aziende e i mercati verso la cultura della sostenibilità.

Il problema del degrado ecologico del nostro pianeta è chiaro e condiviso da tutti ma il modo di vedere le strade e le soluzioni per affrontarlo genera divisione, disorientamento e immobilità. Pensiamo agli esiti dell’ultimo vertice di Copenaghen.

Per comprendere da dove trae origine questa immobilità si può prendere come punto di riferimento Gorge Lakoff1 e il suo pensiero sulla centralità della metafora nella società e nel pensiero umano. Sull’ambientale la cultura contemporanea è divisa in due “frame” (cornici) cognitivi contrapposti. Nel primo, gli squilibri generati dal sistema produttivo sono un problematico passaggio dall’era attuale, dominata da una tecnologia immatura e “sporca”, erede della stagione energivora fondata sul petrolio ad un immediato futuro molto più verde e sostenibile. Questo tipo di visione pone una fiducia incondizionata nella ricerca e nel progresso tecnologico. Il sistema attuale, nella sua libera capacità di organizzarsi, deve trovare al suo interno le risorse sufficienti per il superamento degli attuali problemi di sostenibilità ambientale grazie alla decisa mediazione dei governi per favorire investimenti in ricerca e dare soluzioni concrete e praticabili. Questo “frame” incoraggia un’immagine consolatoria dello sviluppo; asseconda l’idea che si possa continuare a consumare e a inquinare e nega a priori la possibilità che vi siano altre strade per l’organizzazione della civiltà contemporanea fondata su un sistema produttivo che attualmente consuma e spreca troppe risorse. Come evidenziato da innumerevoli studi - tra i quali ricordiamo il rapporto Stern valido in termini di sintesi complessiva e di efficacia divulgativa - il cambiamento climatico e l’uso indiscriminato delle risorse disponibili sono talmente ad uno stadio avanzato che non é pensabile una crescita continua ai ritmi attuali senza gravi conseguenze (il rapporto Stern parla di una forbice tra il 85% e il 100% di probabilità di mutamenti radicali del clima nel 2050 se non venissero adottati provvedimenti seri). In più rimane aperto il conflitto esistente tra il “diritto “ dei grandi paesi in via di sviluppo di migliorare la loro condizioni di vita, e quindi di avere fonti di energia a buon mercato (anche se inquinanti), e la necessità di contenere le emissioni a livello globale.

Il punto di vista “ecologista” sottolinea con risolutezza che la civiltà dei consumi è l’origine del problema. Gli ecologisti assumono una posizione di critica radicale al sistema capitalistico e danno un’immagine del futuro allarmante e catastrofica. Per sostenere questa tesi adottano un metodo analitico e “sistematico” che tende a prendere tutti gli elementi problematici, cercando di sottolineare il più possibile le convergenze che ci sono nei dati scientifici. Il risultato è la certezza di un imminente collasso dei sistemi viventi a causa delle attività umane. Questo tipo di cornice sottolinea inoltre con rigore di dettaglio tutti gli aspetti che portano allo squilibrio, quelli che differenziano l’attività dell’uomo dalla sua “anima” naturale. Il mercato, il sistema produttivo e l’organizzazione complessiva delle sue attività vengono dipinte come degli spazi dove le multinazionali senza scrupoli operano con il consenso delle istituzioni e la gran parte dei cittadini è male informata. In questo contesto i “buoni” e i consapevoli lottano per convincere tutti a non fare le cose sbagliate e a responsabilizzare i governi per agire in modo categorico su questo problema. Solo una rivoluzione immediata e radicale può generare una qualche speranza di salvezza dalla catastrofe. In questo pensiero sono quasi sempre negati i benefici che la società dei consumi ha portato ad una parte della popolazione mondiale e la coevoluzione tra progresso tecnologico e sistema capitalistico.

Proprio per la complessità di analisi e per il numero elevato di fattori da prendere in considerazione gli individui, informati dettagliatamente, si sentono impotenti. Alla luce di questo “mare di problemi” gli sforzi dei singoli appaiono esigui rispetto a quello che effettivamente servirebbe per salvare il mondo. Come è possibile allora fare qualcosa? A cosa serve scegliere il tram al mattino se in Cina ogni anno vengono costruite centinaia di centrali termoelettriche a carbone? Se in Brasile continua la deforestazione? Se da vent’anni si parla di idrogeno e le automobili vanno ancora a gasolio?

Le due contrapposizioni sull’analisi dello stesso fenomeno divengono trappole. Da una parte si sottolinea attraverso la casualità lineare che la soluzione sia solamente tecnologica (problema ambiente, soluzione tecnologia). Dall’altra si adotta una “cornice” sistemica in cui tutti gli elementi sono correlati tra loro e lo squilibrio ambientale è talmente complesso che bisogna agire in modo radicale.

Dal punto di vista della comunicazione però il primo modello è più efficace, perché famigliare e immediatamente comprensibile. Il modello circolare, “produci – guadagna - consuma” sebbene contestato, è consolidato. Il legame tra denaro, libertà e benessere è implicito. Più si guadagna, più si può “comprare” libertà, tutela, servizi. Le soluzioni proposte dagli ambientalisti sono legate al tema del “ritornare indietro”, del “fermare l’assurda corsa”. Molti economisti hanno da tempo evidenziato gli squilibri che genera un sistema economico esclusivamente orientato al profitto, tuttavia chi propone un cambiamento spesso non si accorge come sia difficile elaborare una proposta che non sia accolta come ”punitiva” e che vada a incidere negativamente presso la maggioranza dei consumatori sull’idea dominante di benessere.

Il problema ambientale crea antagonismo tra due mondi: un’economia consolidata e fondata sul consumo/benessere che ha fiducia incondizionata nella tecnologia e nella scienza (futura?), e una comunità che si muove prevalentemente negli spazi dell’Utopia, orientata a “fare la cosa giusta” (che gode di tutti i benefici del progresso consumistico) e che rimane una minoranza.

La contrapposizione quindi non genera un cambiamento e tanto meno apre spazi di collaborazione tali da generare vie percorribili di innovazione e di condivisione di intenti utili ad affrontare in modo concreto gli enormi problemi di pianificazione e di sostenibilità della nostra economia.

Il GM opera direttamente sul mercato per generare conflitti di natura multidimensionale (e non per evitarli), ponendosi in modo trasversale al mondo delle imprese e ai consumatori in modo che essi collaborino insieme alla generazione di valore attraverso lavoro e scambio in modo consapevole ed ecocompatibile. Non si occupa solo di contenere o risolvere le conseguenze negative della produzione e della erogazione dei servizi, come fa il marketing convenzionale o il CSR2, ma si pone l’obiettivo di perseguire attivamente le opportunità positive che emergono nella società contemporanea. ”Complessa e profonda questione”, scrive Grant, “riguarda il consumismo che è almeno in parte responsabile del problema”. Il marketing verde non vuole solo ottenere risultati commerciali, o viceversa ambientali, ma vuole cercare una integrazione per ottenere risultati culturali. Un approccio radicalmente nuovo “le cui fondamenta fortunatamente sono già state gettate dall’emergere negli ultimi dieci anni di quello che è stato definito il nuovo marketing”. “Ci siamo allontanati” ci dice, “da una pubblicità vacua che pescava nelle aspirazioni consumistiche, per andare verso l’autenticità, la trasparenza , la centralità del cliente, il passaparola, la partecipazione, la community (…) il marketing non vuole sedurre le persone con promesse vuote, ma al contrario coinvolgerle e istruirle.”

Proprio per questo uno dei decisivi contributi di questo lavoro sta nel aver messo in luce e definito con chiarezza l’attuale fenomeno del greenwashing: il ricorso a tecniche comunicative in cui si cercano di far passare come “impegno etico e ambientale” minimi miglioramenti rispetto al modo convenzionale di produrre e distribuire. Si crea valore sul mercato rifacendosi il look, cambiando la grafica, adottando nuovi slogan (es. eco-automobili, eco-lavatrici, etc.). Tuttavia l’operazione è poco efficace dal punto di vista di una strategia a lungo termine. Il libro richiama numerosi esempi – segnaliamo questo sito internet che stila una classifica delle campagne clamorosamente ipocrite (www. greenwashingindex.com).

Nel GM il concetto di sostenibilità è dinamico e muta nel tempo a secondo degli obiettivi che ci si pone. Se l’obiettivo è quello di ridurre l’impatto ambientale progressivamente a zero, il sistema attuale non è compatibile. Questa posizione non nega a priori che il consumo abbia un ruolo determinante per la costruzione dell’identità degli individui e non propone una visione “morale” dell’orientamento al mercato attraverso i valore “verde”. Grant sostiene infatti che i messaggi eccessivamente negativi vengono elaborati in modo esattamente contrario a quanto il senso comune sostenga e che le brutte profezie hanno la cattiva abitudine di avverarsi.

La prima legge del GM è molto semplice ed efficace. E’ necessario far leva sugli aspetti positivi per sedurre e per aiutare a cambiare le pratiche quotidiane in modo semplice e piacevole.

Per Grant il GM è una ingegneria dei sistemi cognitivi capace di aiutare le imprese e gli individui coinvolti nel processo produttivo a superare in primo luogo gli ostacoli dettati dal sistema culturale dominante in cui prevale l’idea di un consumo usa e getta e pratiche poco efficienti dal punto di vista dell’erogazione dei servizi. Più nello specifico il modello analitico delle strategie adottabili per poter essere applicate, deve seguire un cammino logico su una matrice classica a doppia entrata (3x3) utile per evitare di confondere approcci diversi, a secondo del tipo di obiettivo (divisi in tre intensità – verde, più verde e verdissimo) e a seconda del tipo di marketing con cui si vuole operare (aziende&mercati, social brand&identità, prodotti &abitudini personali). Gant, da buon markettaro, introduce anche un paradigma di sua invenzione che chiama delle cinque “I”. Il GM propone di essere:

- Intuitivo, per rendere accessibili e comprensibili le alternative migliori;

- Integrante, con la capacità di combinare al meglio la tecnologia, il commercio e gli effetti sociali in una prospettiva interattiva e connessa;

- Innovativo, stimolando e valorizzando le idee,

- Informato, perché orientato alla cultura del consumatore,

- Invitante, per sedurre e convincere sfruttando la domanda latente di scoperta e di piacere di abbandonare la strada principale del consumismo.

L’importante è riuscire a costruire “cavalli di troia” per immettere le innovazioni all’interno della nostra quotidianità e rendere intuitive e non allarmanti idee rivoluzionarie. Nel “frame” del consumismo, infatti, l’aspetto prevalente è il mito dell’autosufficienza e il possedere equivale a libertà. L’idea di benessere che promuove il GM privilegia maggiormente il servizio rispetto al prodotto. Ad esempio progetti di car sharing stanno prendendo piede nelle grandi città, come Londra o New York. Avete sempre a disposizione una vettura ecologica sostenendo un piccolo abbonamento e una tariffa che varia a secondo dei periodi di richiesta. Si diminuiscono le vetture circolanti e si ha sempre a disposizione un’auto efficiente, affidabile e pulita. Di questo servizio esistono anche le versioni “lusso” con autista e berlina di rappresentanza allo stesso costo della quota di ammortamento di una auto di grossa cilindrata. Si crea lavoro e si evitano inutili sprechi. Il cambiamento che sostengono gli utenti tuttavia non è banale perché l’auto non è mai stata solo un mezzo di trasporto ma spazio privato, luogo di intimità, “strumento” di comunicazione e oggetto con cui si può stringere un legame affettivo. E’ qui che il GM si propone di operare per aumentarne l’efficacia del progetto come innovazione verde che si fonda su un sistema di socializzazione in cui il valore che si genera nel condividere è maggiore rispetto quello del possedere. Ad esempio il web 2.0 è una frontiera dove oggi già avvengono concretamente queste dinamiche positive. Internet non è più solo vetrina, ma condivisione di contenuti realizzati dagli stessi utenti e generatore di nuove manifestazioni di socializzazione. Un fenomeno complesso e ambiguo ma carico di novità. Ad esempio i prosumer3 sono i soggetti che contribuiscono allo sviluppo dei prodotti di cui loro stessi sono consumatori. Alcune aziende oggi attivano un dialogo con i propri clienti che divengono, essi stessi, fornitori di servizi. Si pensi ad esempio ad amazon.com, la più grande libreria on line del mondo. Negli anni ha costruito un patrimonio di recensioni dei propri lettori oggi al servizio dei suoi stessi clienti. Secondo Grant questo è un modello vincente che può essere esteso fuori dalla rete, anche grazie alla rete, e dove gli utenti, in comunità, potranno scambiarsi informazioni migliorandosi reciprocamente per riparare, produrre, commerciare, condividere, gestire, promuovere. Le aziende a loro modo potranno sfruttare questa opportunità.

Il GM è inoltre un marketing di “prima mano” perché tende a incentivare l’autoproduzione favorendo la diminuzione delle intermediazioni, ed è anche post-brand, in quanto lavora maggiormente sulla comunicazione non convenzionale e sui significati che si accompagnano ad essa.

Concludendo il GM parte da una visione positiva del mercato, cioè dalla sua possibilità di orientare democraticamente il sistema produttivo. Il GM nel fare business è consapevole che il cambiamento verso la sostenibilità sia condizione necessaria della nostra civiltà dei consumi, e come tale diverrà valore sul mercato. Allo stesso tempo è un metodo che pur orientato a risultati economici favorisce un dialogo tra aziende e consumatori e agevola la costruzione di una via “culturale” al problema ambientale. In sintesi il GM è un esempio di strategia alternativa alle due “cornici” dominanti (tecnologica ed ecologica) che da troppo tempo sono tese quasi esclusivamente a rafforzarsi reciprocamente, ostacolando reali processi evolutivi e innovativi.

1 In particolare si veda G.Lakoff “La libertà di chi?”, Codice, 2008, 242 p.

2 Corporate Social Responsibility

3 Producer + consumer


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