base

home/documenti/recensioni

Lester R. Brown, Piano B 3.0. Mobilitarsi per salvare la civiltà

Edizioni Ambiente, Milano 2008
Recensione di Luca Mori.

copertinaLester R. Brown, fondatore e presidente dell’Earth Policy Institute e del Worldwatch Institute, in questo libro importante, fitto di date e di dati, parla del pianeta Terra come di un’oikos comune: alcune parti sono in fiamme, altre crollano – e c’è chi ne muore – ma nonostante il presagio di una possibile catastrofe, nonostante si annuncino più sofferenza e meno vivibilità, chi abita ai piani alti non se ne cura. Non ha notato ciò che accade e se lo ha notato non reagisce.
Del resto, da Cassandra a Laocoonte, i profeti di sciagure non furono mai presi sul serio dai figli di Prometeo, miopi, presbiopi o strabici.
Che fare per rimediare agli squilibri ecosistemici (ai disastri, al dolore, alla restrizione di possibilità per le generazioni future) che le condotte di vita insostenibili di Homo sapiens stanno in qualche misura provocando? Nel libro leggiamo che il budget annuale richiesto per raggiungere significativi obiettivi di «assistenza sociale di base» e di «risanamento degli ecosistemi terrestri» si aggirerebbe attorno ai 190 miliardi di dollari. Senza pronunciarci sul modo con cui la cifra è stata calcolata, possiamo valutarne l’entità confrontandola con il budget annuale per le spese militari nel mondo (1235 miliardi di dollari, in base ai dati di Brown) o con le centinaia di miliardi di dollari mobilitate per la “stabilizzazione economica d’urgenza”, in base al piano Paulson negli Stati Uniti e poi, con altri interventi da parte di Stati europei, nel pieno della recente catastrofe finanziaria.
Che fare dunque? La domanda torna insistentemente nel libro. Un primo livello della risposta è molto generale: secondo Brown, tra le urgenze risaltano le seguenti: stabilizzare il clima e la popolazione, estirpare la povertà e ripristinare gli ecosistemi terrestri. È evidente che la sola enunciazione di simili desiderata non può che delineare un generalissimo quadro d’intenti: tanto generale quanto evanescente, se non tradotto in proposte più circostanziate. E in effetti Brown analizza e propone interventi e misure (come ridistribuire imposte e agevolazioni, come incentivare gli investimenti promuovendo misure per la stabilizzazione del clima e il passaggio ad energie più pulite, ecc.).
Al di là delle misure che Homo saprà escogitare, resta però la questione del suo limite e della capacità di farsi carico di tale limite, che ne contrassegna la costitutiva e ineludibile natura di animale ambiguo. Tralasciando questo aspetto, per chi si occupa di conflitto il secondo paragrafo del tredicesimo e ultimo capitolo contiene un’osservazione che assume lo spessore della provocazione: «Salvare la nostra civiltà potrebbe richiedere una mobilitazione imponente, attuata con la stessa rapidità di un paese in guerra (l’analogia più vicina è il ritardato intervento degli Stati Uniti durante la seconda guerra mondiale)…» (p. 277). Il punto è questo: perché l’analogia con lo stato di guerra? È un’analogia azzardata, oppure ci sono situazioni limite – ci sono soglie, come in tutti i processi complessi – in cui la relazione conflittuale non può più essere trasformata generativamente se non con una guerra? La guerra può generare bellezza? E può accadere che, in certe condizioni, sia necessario attraversare non solo il conflitto, ma anche la guerra, per generare bellezza?
La frase di Brown, citata nella traduzione italiana, suggerisce che lo stato di guerra può generare una coesione e un senso di urgenza quali la consapevolezza di un conflitto non riesce a generare. La storia ci ricorda che non tutte, ma molte tra le grandi rivoluzioni politiche e sociali hanno dovuto attraversare lo stato di guerra. E il mito greco ci aiuta a vedere più a fondo la complessità della questione: Afrodite (l’edonico), moglie infedele del brutto Efesto – il doppio di Prometeo – tradisce il marito con Ares, dio dell’agon violento della guerra. Dalla relazione con Ares nascerebbero Armonia, Demo (timore) e Fobo (terrore), oltre a Eros ed Anteros, l’anti-amore che nella tradizione successiva sarà contrapposto ad Eros come l’amore divino all’amore sensuale. Da Armonia, figlia di Afrodite e sposa di Cadmo, discende una stirpe maledetta (Penteo, Edipo, Giocasta, Eteocle e Polinice, Antigone), nelle cui vicende s’incontrano l’ambiguità della dimensione estetica e quella della dimensione etica. Il mito racconta dunque il nesso profondo tra bellezza (Afrodite), violenza (Ares) e bruttezza (Efesto): nesso tanto più profondo e inquietante perché originario, in quanto la nascita di Afrodite dalla bianca schiuma del mare è conseguenza dell’evirazione di Urano. Crono tagliò i genitali al padre con un falcetto e dalle gocce di sangue che caddero nel mare si formò la schiuma (afros) da cui emerse Afrodite: in altri termini, Afrodite è nata da uno spargimento di sangue. Che sia questo il destino di Homo sapiens, dell’animale capace di cercare la bellezza? Che debba essere sospeso tra l’attesa di una catastrofe e la speranza di una rivoluzione in cui molto sangue dovrà spargersi? E quanto sangue, quanto dolore già si sparge, non visto, nel presente?
La questione di cui s’è detto può essere ulteriormente precisata: non si tratta di entrare in uno stato di guerra, ma di stare nel conflitto “come se” si stesse in guerra (con la sensazione d’urgenza e d’impellenza che lo stato di guerra trasmette). L’accenno di Brown agli Stati Uniti durante la seconda guerra mondiale si precisa con il riferimento alla scelta, che venne fatta, di bloccare la produzione delle auto per convertire le industrie ad altre produzioni. Scelte sistemiche come questa, influenti a livello ultra-organizzativo su scala sociale vastissima, sarebbero necessarie secondo Brown per imporre una rapida inversione a condotte di vita autodistruttive: ma è concepibile che la politica assuma il peso di scelte come questa senza l’alibi della guerra? E che genere di politica? quale politico? Le domande restano qui aperte, e la lettura del libro servirà a focalizzare meglio quali siano i problemi sistemici a cui si allude.


Stampa il documento


Segnala questo testo ad un amico