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Maurizio Ferraris, La fidanzata automatica

Bompiani, Milano, 2007

Recensione di Ugo Morelli


copertina Caro Ferraris, automatico è l’uomo che tu hai in mente. Ma quell’uomo non esiste nella realtà. È solo un paradosso della tua altrettanto paradossale ontologia. Anzi, dal momento che il paradosso non indica una cosa che non esiste, bensì una verità inaccettabile, quell’uomo di cui tu parli non rispetta neppure i criteri della più normativa delle ontologie. Semplicemente è una tua fantasia. Se quell’uomo fosse come tu dici non inventerebbe la fidanzata automatica. La domanda che dovresti farti è perché mai l’uomo inventa la fidanzata automatica, la quale, peraltro, è ben lontana dal non rinviare significati al suo inventore o fruitore che sia. È proprio quell’invenzione che contraddice la tua teoria dell’arte, che solo per falsa modestia tu dichiari di non voler definire. Ma la definisci e come! Poche cose sfuggono ormai alla tua ansia essenzialista e fissista, alla tua propensione a trasformare la realtà in un pezzo di marmo che, siccome è duro e colpendoti ti rompe la testa, allora esiste ed è un pezzo di marmo e nessuno si sogni di dire che significa qualcosa o per qualcuno possa rappresentare qualcos’altro. Il fatto è, qui ci vuole, che il tuo libro è una costante contraddizione fra titolo e contenuto. Se non te ne sei accorto, la fidanzata di marmo esiste in quanto soddisfa al bisogno di creare mondi per rispondere ad un bisogno di ricerca del significato, che peraltro è anche ciò che regge la tua filosofia di ora, anche se tu non lo riconosci, come reggeva la tua filosofia di ieri, quando non solo lo riconoscevi ma ci ammannivi tesi come “la traccia della traccia”, “il senso del senso”, e avanti di questo passo. Se poi non te ne sei accorto ancora, allora forse quella creazione di Duchamp sarebbe una rottura del senso anche se tu ci pisciassi dentro o la rompessi con uno scalpello. Perché noi siamo, tra l’altro, animali sensemakers, ineluttabilmente presi da orizzonti e domini di senso. È per questo che il senso si può rompere, perché non possiamo non darne uno. E quando a qualcuno riesce di inter-rompere quella tenace struttura del senso, nonostante
le sue stesse intenzioni, crea un nuovo orizzonte di senso, che se è significativo per altri in una nuova cornice, diviene ciò che chiamiamo arte. Non ti affaticare invano a grattare il fondo per neutralizzare linguaggio e senso, troverai sempre e al massimo delle persistenze che, anche se ti affani a definire cose, enti, o fatti oggettivi, e posto che siano tali perché ci precedono e ci sopravvivranno, sono tali perché noi li diciamo tali col nostro linguaggio. Ogni tanto una di quelle “cose”subisce un’accelerazione, un salto, una rottura impressa dalla nostra ricerca di trascenderci, di autoelevarci, e diviene significativa in quel campo dell’ineluttabile e dell’imprevedibile che chiamiamo arte. A sapercene accorgere abbiamo fatto un altro passo verso noi stessi, grazie ad una nuova circolarità con la “cosa”, che ci rinvia inedite forme di senso e significato. In quella circolarità, nonostante i tuoi sforzi per cercarti un posto fuori, sforzo compiuto nei secoli da tanti prima di te, ci sei anche tu. È la circolarità imprescindibile osservatore – osservato che non ci consente di avere di fronte una fidanzata di marmo senza che noi ci ri-consideriamo alla luce della sua presenza, laddove anche la sua negazione è una forma di ri-considerazione. Se fosse nell’immanenza delle cose e solo nei comportamenti a maggioranza la condizione di una teoria dell’arte, non ti sei chiesto come faremmo ad avere il cambiamento del gusto e la pluralità dei significati? Avremmo i significati scritti sulle cose come etichette e cartellini e la parola aderirebbe alla cosa in un mondo atono, afono ed incolore. Non è forse proprio l’emergenza di senso e significato non riducibili alle condizioni iniziali a preparare il terreno per quell’esplosione imprevedibile e improvvisa che è l’arte, mediante la quale ciò che è umano si avvicina a ciò che è possibile, una volta ancora? Non è forse l’emergenza indecidibile che svela l’immanenza?
La tua pretesa, caro Ferraris, di trovare i fatti o le regolarità empiriche, a proposito dell’arte, (nei comportamenti della maggioranza poi!) quella strana ossessione di afferrare l’oggetto reale che esiste in sé, ricorda assai da vicino quel comportamentista di professione che avendo fatto l’amore con una donna le dice: “Tu sei stata bene. E io?”.

Leggi il commento di Luca Mori

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