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Enzo Bianchi, La differenza cristiana

Einaudi, Torino 2006

Recensione di Stefano Pollini


copertina“La differenza cristiana” scritto da Enzo Bianchi, priore del monastero di Bose in Piemonte, è un libro prezioso per chi si occupa di conflitto. E non solo per le riflessioni di apertura e di dialogo nei confronti delle altre fedi o per il riconoscimento dell’importanza e della necessità della laicità dello stato, come premessa affinché le religioni possano essere capite e rispettate. Le riflessioni di Bianchi, infatti, vanno molto al di là dei singoli problemi trattati e forniscono un contributo importante per chi vuole occuparsi di conflitto in termini non moralistici o prescrittivi, ma puramente antropologici, mostrando le “ragioni umane” di determinate scelte o comportamenti, al di là di ogni fede o dogma.
In questa sede, quindi, non presenteremo una sorta di riassunto del testo – cosa assai complessa, nonostante la brevità del libro, per la grande varietà e diversità dei temi toccati – ma evidenzieremo come l’approccio di Bianchi su alcuni temi possa favorire una gestione evolutiva dei conflitti.
Per esempio, quando l’autore affronta il discorso sul ruolo dei cristiani in politica e il tema della laicità dello stato, da una parte sottolinea i vincoli che possono nascere da un atteggiamento dogmatico e chiuso da parte dei credenti, dall’altra parte evidenzia le opportunità che uno stato laico può offrire. In altre parole la domanda a cui Bianchi cerca di rispondere è: “cosa ci posso fare io?”. E non “cosa può fare l’altro?” Questa è la premessa fondamentale per la gestione di ogni rapporto conflittuale. E a questa segue un altro passo decisivo: il riconoscimento dell’Altro. L’altro, infatti, non è solo la causa dei problemi, ma anche la fonte delle possibili soluzioni; inoltre l’altro non è ciò che mina la mia identità, ma è ciò che la definisce: “l’altro, il diverso, lo straniero è in realtà parte di me, è costitutivo di me stesso e della mia identità: io non sono senza l’altro”. Il riconoscimento dell’altro come parte costitutiva di me tocca un problema decisivo nelle situazioni conflittuali e cioè il problema dell’identità.
Per Bianchi l’altro non è ciò che mina la mia identità, è ciò che la fonda e “la diversità è costitutiva dell’unità ed è essenziale alla comunione, così come l’alterità è essenziale all’identità”. “L’integralismo - la rigida certezza dei duri e puri che rigettano ogni alterità fino ad escluderla anche violentemente dai propri orizzonti – è minato alle radici dal pluralismo fondante la fede cristiana: dalla varietà degli scritti del Nuovo Testamento e dal pluralismo delle espressioni di fede della chiesa antica”.
Un’importante conseguenza discende da questa concezione di identità non statica, ma dinamica e riguarda il rapporto con la verità e la certezza. Bianchi sottolinea che la verità è Gesù Cristo e va distinta dalle verità prodotte e definite dalla chiesa che, invece, “stanno all’’interno del grande movimento della ricerca della verità, dell’approssimazione – sempre imperfetta – alla verità. Se a questa coscienza umile si sostituisce la pretesa di possedere la verità (confusa con la sua definizione) si finisce in un imperialismo culturale. Allora la violenza, il fanatismo, l’intransigenza saranno inevitabilmente in agguato”. Purtroppo dobbiamo fare con la “tentazione” – è proprio la parola usata dall’autore – del “ritorno alle certezze e dell’identità pura e dura”. Si desiderano una serie di norme prescrittive valide una volta per tutte, ma ciò non è possibile: così come l’identità, anche l’etica non è statica ma in continua evoluzione. “L’ethos – scrive Bianchi – non è dato una volta per sempre, non è calato dall’alto, né normativamente contenuto nei libri, ma è costantemente elaborato nella storia, nel cammino fatto accanto e assieme ad altri uomini”. “La dura scoperta di essere stranieri a se stessi la scoperta, dei limiti della razionalità e della fede stessa dovrebbe inculcare quell’umiltà che è base di partenza di un’etica veramente consensuale. Sprovvisti di certezze e sicurezze assolute, noi tutti, laici e credenti, forse veniamo preservati dall’arroganza e possiamo aprirci all’incontro sul terreno arduo, ma affascinate dell’umano”.
Sono parole cariche di speranza e ci pare importante concludere sottolineando come alcuni degli elementi fondamentali per una scienza dei conflitti - riconoscimento dell’altro, identità in evoluzione, limiti della razionalità, norme continuamente da riscrivere, ricerca infinita della verità che non è mai data – sembrano trovare riscontro e condivisione anche in autori che partono da approcci ed epistemologie molto differenti. Il libro “La differenza cristiana” costituisce una significativa conferma all’ipotesi che sia possibile una scienza dei conflitti basata su una teoria antropologica condivisibile da tutti.


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