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Samir Kassir, L’infelicità araba

Einaudi, Torino 2006

Recensione di Sabrina Taddei


copertinaSamir Kassir nasce in Libano e cresce tra il Libano e Parigi, dove si laurea in filosofia e filosofia politica alla Sorbonne e consegue il dottorato di ricerca in Storia Moderna. Trasferitosi al dipartimento di Studi Politici dell’Università di Beirut dedica la sua vita ad attaccare, attraverso i suoi editoriali, libri e seminari, l’egemonia del regime siriano in Libano. Diversamente dagli altri nazionalisti libanesi, appoggia una più esaustiva e tollerante visione della democrazia e della libertà non solo del Libano, ma anche della Siria e del resto del mondo arabo. Le priorità di Kassir, per le quali lottò per il Libano, furono la democrazia e il laicismo. Animò la “Primavera di Beirut” contribuendo alla liberazione dalla Siria e per questo è stato ammazzato. Il paese sulla via della ricostruzione e di una pacifica rinascita si trova di nuovo alle prese con ritorsioni e intimidazioni politiche. Agli occhi di chi l'ha ucciso, la colpa di Samir Kassir era la sua impertinenza, che si rifletteva nello spirito di costante insubordinazione verso quelle autorità che volevano imporre a tutti i cittadini come comportarsi e cosa pensare e dire.
Kassir era convinto che la vera sicurezza venisse dall’unione di comuni cittadini che vivono in dignità e libertà, non dalle reti di funzionari che relegano il valore di una vita umana al terzo posto dopo l'ordine imposto con la forza e il potere inamovibile.
Il dato storico più significativo del suo impegno è stata la tenacia con cui si è opposto al regime repressivo, in un periodo in cui pochi osavano farlo.
L’infelicità araba diventa quindi il testamento di questo intellettuale e storico e la sua assassina, perchè figlia del fallimento dell’epoca della rinascita (Nahda) asfissiata dall’invadenza e dal dominio dell’occidente e dalle dittature interne al Medio Oriente, facendo diventare più importante la lotta contro lo straniero di quella per la democrazia.
Il tema guida del libro è l’impotenza che porta il mondo arabo a mancare le sfide imposte dalla modernità, alla regressione politica e culturale e all’infelicità, frutto del mancato compimento della modernità e non il suo risultato, della rilevanza della geografia del mondo arabo, superiore alla sua storia.
La “patria” araba è il cuore del Vecchio Mondo e sta di fronte all’Europa che ha contribuito allo sviluppo della storia araba, ma ne ha fatto il ponte per proiettarsi oltreoceano ed espandere il proprio dominio imperialista, non smettendo a tutt’oggi di dominarla.
La via, individuata da Kassir, per sconfiggere questa condizione che è innanzitutto il rifiuto degli arabi a venirne fuori, è accettare il pluralismo culturale, rifiutare la cultura della morte, svincolarsi dalla predestinazione religiosa e eliminare l’assenza di connessione tra la cultura artistica e quella sociale facendosi aiutare dai nuovi media e dalla capacità della cultura condivisa di fecondare anche uno sviluppo economico di medio e lungo periodo.
Tutto questo per recuperare la capacità della cultura araba più volte attuata anche in tempi recenti di produrre rinnovamento, (Tajdid), e cambiamenti, di essere un mondo in movimento, parte integrante e alle volte trainante della rivoluzione “terzomondista”, sconfiggendo il lato oscuro che le appartiene: il fondamentalismo.
Questo volume oltre ad essere un’analisi profonda della condizione del mondo arabo, grida il potere e il valore della vita attiva di ogni essere umano, che può davvero incrinare l’immobilismo politico, culturale ed economico, rifiutando il vittimismo e lottando seriamente per la vita e la democrazia, dandosi questo come obiettivo quotidiano e inesauribile, che dà senso e significato alla vita, fino alla morte.


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