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Seyla Benhabib (2004), I diritti degli altri. Stranieri, residenti, cittadini

Raffaello Cortina Editore, Milano 2006

Recensione di Carla Weber


copertina Il doppio vincolo del rispetto dell’autodeterminazione da una parte e dell’adesione ai principi universali dei diritti umani dall’altra, è alla base di una teoria cosmopolitica della giustizia proposta da Seyla Benhabib.
L’autrice è ben conosciuta in Italia per avervi insegnato (a Macerata) e per la pubblicazione in italiano di diversi saggi e del volume La rivendicazione dell’identità culturale. Eguaglianza e diversità nell’era globale (il Mulino, Bologna 2005). Il suo contributo è piuttosto fertile per gli spunti di riflessione presenti in una intelligente e chiara trattazione che propone il superamento delle contrapposizioni e delle rivendicazioni verso una negoziazione dinamica delle identità e delle diversità individuali e collettive. L’approccio teorico si avvale della ricerca portata avanti da quella corrente filosofica nota come movimento dei Cultural studies, ma esprime una propria originalità proponendo il valore attivo e iterativo della relazione per individuare nuove mappe normative in una realtà globalizzata, mancante di forme politiche adeguate.
Nel volume I diritti degli altri, Seyla Benhabib scrive: “Siamo come viaggiatori che esplorano un territorio sconosciuto con l’aiuto di vecchie mappe, disegnate in tempi diversi e in risposta a bisogni differenti. Mentre il terreno sul quale stiamo procedendo, la società mondiale degli stati, è cambiato, le nostre mappe normative non lo sono”. Non pretende di proporre nuove mappe, ma “di contribuire ad una miglior comprensione delle maggiori asperità del terreno sconosciuto che stiamo attraversando”. A questo scopo riprende e rielabora le John Robert Seeley Lectures, tenute nel 2002 al King’s College, Università di Cambridge, per ampliarle con gli scambi avuti nell’esperienza internazionale e promuovere un dibattito tra studiosi di scienza politica, diritto, storia, filosofia e relazioni internazionali. Nata a Istambul e riconosciuta Eugene Meyer Professor of Political Science and Philosophy presso la Yale University, pone oggi autorevolmente le questioni rese urgenti dalla globalizzazione del pianeta, dagli abusi dei diritti civili, da nuove forme di guerra e aggressione, dalle migrazioni alla ricerca di altre condizioni di vita.
Le questioni dei confini della comunità politica e dell’appartenenza sono al centro del suo contributo, in esso esplora gli effetti ormai diffusi della crisi della sovranità statale e della delimitazione territoriale dei diritti umani. Seyla Benhabib richiama lo slogan del sindacalista John Wilhelm “nessun essere umano è illegale”, divenuto celebre nella Immigrant Worker’s Freedom Ride del 2003, per ripartire dalla nozione stessa di appartenenza. L’appartenenza politica definita territorialmente secondo i confini dello stato-nazione risulta empiricamente e normativamente anacronistica. Sono emerse nuove forme di appartenenza a fronte delle migrazioni transnazionali e le questioni costituzionali e politiche attivate dai flussi delle persone hanno messo in relazione gli stati e frammentato l’istituito della cittadinanza nazionale. Riconoscere normativamente le forme dell’appartenenza significa occuparsi di una teoria normativa della giustizia globale che affronti le contraddizioni tra una dottrina statalistica, che si occupa di controllo e protezione dei confini nazionali e una democrazia liberarle che sancisce il diritto all’autodeterminazione. Seyla Benhabib propone un modello di “democrazia deliberativa”, capace cioè di costruire una sfera pubblica non statuale sulla base di strategie narrative e discorsive che danno voce a identità individuali e collettive mobili e consentono ai singoli e ai gruppi etnici e culturali di autorappresentarsi liberamente. Nel considerare i mutamenti sociali che non trovano una adeguata rappresentazione politica, Seyla Benhabib indica nella relazione io-altri l’aspetto costitutivo dell’individuo e della collettività, nel confronto riflessivo e deliberativo riguardo a nuove modalità di appartenenza locale e globale. L’autrice considera quanto la realtà contemporanea abbia scomposto e frammentato nelle diverse e molteplici esistenze umane l’istituito della cittadinanza nazionale e la forma della territorialità attribuita ai confini dello stato-nazione. Il gran numero di casi di immigrati regolari e irregolari arruolati ad esempio nei marines e caduti in Iraq ha posto gli Stati Uniti di fronte alla situazione sconvolgente di individui che muoiono per un paese che nega loro i diritti civili e ha impegnato, anche se tardivamente, il legislatore a trovare dei correttivi. Una giusta appartenenza ha bisogno di considerare il diritto di avere dei diritti in quanto esseri umani. Migranti, rifugiati, stranieri privati della legalità perdono lo statuto di persona giuridica che è inalienabile. Il diritto all’autodeterminazione delle persone che attraversano gli stati-nazione e cercano altre forme di appartenenza, determinando nuove distribuzioni cosmopolitiche, richiedono la messa a punto di strumenti legislativi in grado di correggere la generale disarticolazione dei confini tra territorialità, sovranità e cittadinanza. In molti stati gli immigrati costituiscono forza lavoro e attiva partecipazione alla vita democratica del paese che li ospita, anche se non possono votare. Una condizione di estraneità permanente non solo è incompatibile con l’interpretazione liberaldemocratica della comunità umana, ma rappresenta una violazione dei diritti umani. La contraddizione tra le dichiarazioni dei diritti umani e la pretesa da parte degli stati sovrani di controllare i propri confini e di monitorare la qualità e la quantità di coloro che sono ammessi al loro interno, genera continue tensioni e ingiustizie. L’autrice propone il rafforzamento delle pratiche dell’appartenenza politica attraverso “adesioni democratiche” che permettano la “ricostruzione interna” del doppio vincolo tra diritto all’autodeterminazione e adesione ai principi universali dei diritti umani. Essa, inoltre, approfondisce il concetto di “cittadinanza flessibile” prendendo in considerazione il fatto che un numero crescente di individui desidera mantenere una doppia cittadinanza, ovvero risiedere stabilmente in un paese senza rinunciare alla propria nazionalità d’origine. La tensione costante tra locale e globale viene indicata come condizione contemporanea di regolazione delle pratiche discorsive che definiscono le “interazioni democratiche”. Avvalendosi dell’osservazione di Habermas riguardo al nazionalismo quale soluzione a “un vuoto nella costruzione giuridica dello stato-nazione”, Seyla Benhabib cerca una forma regolatrice delle spinte contrapposte inalienabili di una costituzione democratica, che da un lato si fa garante dei diritti umani universali e dall’altra dei diritti particolari dei singoli nella chiusura di un contesto specifico. Le moderne costituzioni democratiche hanno bisogno, a suo avviso, di investire sulla “limitazione reciproca” dei due mandati e di sviluppare “complessi processi pubblici di discussione, deliberazione e apprendimento attraverso i quali le rivendicazioni dei diritti universalistici vengono contestate e contestualizzate, invocate e revocate, all’interno di istituzioni politiche e giuridiche”. Si tratta di una forma di “politica giusgenerativa” che vede il popolo democratico destinatario e artefice delle proprie leggi. Saranno le iterazioni democratiche di azioni riflessive collettive, private e pubbliche a rendere fluide e negoziabili le distinzioni tra cittadini e stranieri, tra noi e loro. La negoziazione verso la costruzione di una solidarietà cosmopolitica ha bisogno di mettere in relazione iteratamene l’appartenenza, con l’istanza democratica e la residenza territoriale. La trattazione dell’autrice nei cinque capitoli che compongono il volume, sostiene il lettore nel percorso di approfondimento attraverso un apparato teorico filosoficamente robusto. Fecondante è il dialogo con gli scritti di Kant, di Hannah Arent, di John Rawls, di Martha Nussbaum ed esplicative sono le documentazioni sugli aspetti istituzionali ed empirici di diversi paesi. Il suo lavoro è arricchito, infine, dall’esplorazione di tre casi, tratti dalla sua recente esperienza europea, molto utili per illustrare la pratica delle iterazioni democratiche.


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