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Jared Diamond, Collasso. Come le società scelgono di morire o vivere

Einaudi, Torino, 2005

Recensione di Antonio Castagna


copertinaIl lungo testo di Diamond, sono 566 pagine, ci immerge in una trama di storie capaci di restituire la complessità delle variabili che incidono sulla capacità delle società umane di trovare un rapporto equilibrato con il contesto ambientale nel quale sono immerse. Diamond comincia descrivendo la difficile crisi che sta attraversando il Montana, Stato agricolo a ridosso delle Montagne Rocciose, dove le produzioni di latte e carne sono entrate in crisi perché sottoposte a una concorrenza che non lascia molti margini di manovra agli allevatori, ma dove gli speculatori edili sono riusciti a mettere a valore le terre abbandonate dagli allevatori, costruendo ville per ricchi cittadini in cerca della pace dei campi, e campi da golf. L’esito è che mentre riprende a crescere il PIL e con esso la popolazione, si aggrava la crisi degli allevatori, entra in sofferenza il ciclo dell’acqua e rischia di crollare il fragile equilibrio tra una terra apparentemente fertile, ma dal lento ricambio, e la popolazione. Il fatto che la rottura dell’equilibrio finirà per incidere anche sul valore delle ville e dei terreni ad esse destinati non è una questione che attualmente sembra interessare nessuno.
La vicenda del Montana è interessante perché ci permette di confrontarci in diretta con un caso critico. Le altre storie trattate da Diamond riguardano la vita e la morte di società capaci di sopravvivere nel corso di secoli, ma che a un certo punto, in maniera apparentemente inspiegabile scompaiono. L’autore per la sua analisi si avvale di una moltitudine di strumenti e di approcci, dall’antropologia, alla paleoantropologia, dall’archeologia, alla palinologia (l’analisi dei pollini). La ricostruzione, anche stilisticamente, assomiglia a un’indagine indiziaria e spinge a una lettura veloce e mai noiosa. Il merito di Diamond è di evitare le spiegazioni semplici e riduzioniste, le cause dei collassi infatti sono molteplici. Diamond individua cinque gruppi di fattori di cui tenere conto: danni ambientali; cambiamenti climatici; ostilità delle popolazioni vicine; presenza di partner commerciali; la risposta della società ai problemi ambientali. Questa complessità spiega anche perché sia così difficile per i contemporanei capire in tempo che il sistema sta collassando. È il caso dell’Isola di Pasqua, dove vennero tagliati tutti gli alberi pur di proseguire la lotta simbolica tra i clan, che si traduceva nella costruzione di statue sempre più grandi, che richiedevano sempre più mano d’opera e legna per costruire i binari su cui venivano trasportate. È il caso dei vichinghi di Groenlandia, che nel tentativo di riprodurre uno stile di vita di tipo europeo finirono per impoverire i terreni a causa di un eccesso di pascolo, riducendosi negli ultimi anni a cibarsi quasi esclusivamente di foche e di pesci, avendo dovuto uccidere e mangiare fino all’ultima pecora, come testimoniano ancora oggi i depositi di ossa e lische.
Uno dei meriti del testo di Diamond è che non vuole essere allarmista, sono presentati anche casi di successo, come il Giappone attuale, capace di difendere le sue foreste, per esempio, e casi problematici su cui è ancora possibile intervenire, oltre al Montana, l’Australia e la Cina.
Nell’ultima parte del libro, Lezioni per il futuro, Diamond, si chiede perché i popoli fanno scelte sbagliate e individua anche qui una complessità di cause: la mancata previsione e la mancata percezione del problema; la presenza di comportamenti razionali dal punto di vista economico, ma che hanno ricadute negative sulla collettività nel medio periodo; l’esistenza di “valori disastrosi”, come nel caso dei vichinghi che pretendevano di vivere all’europea pur avendo accanto un esempio di successo come gli Inuit; comportamenti irrazionali dettati da un pensiero di gruppo (groupthink) che reprime l’espressione del dubbio; la presenza di “costi affondati”, come li chiamano gli economisti, o “logica del colpo partito” come la definì Serge Latouche in La Megamacchina (Bollati Boringhieri 1995). È interessante, benché problematico, che Diamond non proponga mai letture ideologiche dei fatti, ritenendo anzi che sia più opportuno confrontarsi anche con le multinazionali apparentemente più refrattarie al cambiamento che limitarsi a denunciarle. L’atteggiamento di Diamond può apparire in certi tratti persino troppo ottimista e quasi buonista, però ci segnala la necessità di far vivere gli interessi in contrasto attraverso il conflitto, piuttosto che in una denuncia antagonista che finisce per essere consolatoria. Non è facile, perché lo spazio per il conflitto è molto sottile, ma forse a questo punto è necessario riconoscere la molteplicità degli interessi in campo per poter pensare il cambiamento. Alla fine del capitolo sul Montana, all’inizio del libro, per esempio, sono riportate le voci di quattro persone: un membro del senato locale, un immobiliarista, il proprietario di un caseificio e una guida per i pescatori, ognuno di loro esprime interessi (legittimi) in contrasto. A quali degli interessi espressi dai cittadini del Montana diremmo di si e a chi e cosa diremmo di no è tutt’altro che scontato, ammesso che saremmo capaci di porci veramente il problema. Certo è che stavolta la posta in gioco è molto più alta che nel passato, quando riguardava singoli sistemi. Ora, nel sistema mondo, il Montana non è più una parte del mondo isolata da cui basterà, al momento giusto, fuggire, perché non esiste più un altrove abbastanza altro dove rifugiarsi in caso di pericolo.


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