base

home/documenti/recensioni

Domenico Pezzini, Giacobbe e l’angelo

Ancora, Milano, 2001

Recensione di Stefano Pollini


copertinaIl brano della Genesi che descrive la lotta notturna fra Giacobbe e l’angelo al guado della Yabbok (Gn 32, 23-32) è suggestivo e sfuggente insieme. E’ stato più volte ripreso nella iconografia e fatto oggetto di numerosi commenti.
Domenico Pezzini, nel volume Giacobbe e l’angelo, ne propone una nuova lettura in chiave relazionale, sottolineando l’aspetto necessariamente conflittuale di ogni relazione interpersonale.
“La storia della lotta notturna tra Giacobbe e l’angelo”, scrive Pezzini, “è un rapporto che oscilla tra lo scontro e l’incontro, la voglia di soverchiare e il bisogno di arrendersi, un’agonia che neanche davvero si conclude, fornendo così un modello aperto e in movimento del rapporto tra le persone”.
Nel brano biblico non si capisce chi non riesce a vincere: Giacobbe o lo sconosciuto? E in effetti questa lotta è destinata a rimanere aperta, a non avere né vincitori, né vinti. Il conflitto, la lotta, non ha un termine, non ha una soluzione.
Forse qualcuno si sorprenderà a vedere il rapporto interpersonale descritto in termini di lotta, ma ogni nostra relazione – specie quelle a cui teniamo maggiormente – è di natura conflittuale. Fin dall’inizio, quando qualcosa di bello attraversa il nostro paesaggio, si accende un desiderio che è anche una sofferenza; il desiderio, infatti, implica la mancanza e la strada che imbocco per superare questa mancanza, o bisogno, sia tentando di sopprimere il desiderio, sia cercando di possedere ciò che mi attrae, è spesso una lotta dolorosa.
Nel libro, Pezzini analizza in dettaglio alcune delle principali rappresentazioni pittoriche e scultoree che trattano il tema della lotta di Giacobbe. In particolare, nel nostro contesto ci pare significativo riprendere le osservazioni sull’affresco di Delacroix che più di ogni altro, pone al centro dell’opera il tema dell’aggressività.
Nel parlare comune, l’idea di aggressività sembra non avere cittadinanza in un rapporto che si pensa e si vuole positivo. Il contenuto del termine è abbondantemente, se non totalmente negativo. Ma è giusto? Pezzini sottolinea come ci siano anche aspetti positivi dell’aggressività che meritano di essere tenuti in considerazione. “Dov’è il buono dell’aggressività? Almeno in due aspetti: quello della passione e quello di una sana autodifesa. Con la prima, mi porto con intensità verso qualcosa, o qualcuno, che suscita un forte interesse e un intenso desiderio; con la seconda reagisco a chi mi attacca oltre i limiti del lecito, significando con la reazione aggressiva che il mio territorio ha una frontiera che all’altro non è concesso di oltrepassare, a meno che non sia io ad aprire la porta. Queste sono due forme buone di aggressività, almeno fino a che non superano certi limiti, perché il rischio è che diventino distruttive, ingoiando l’altro nel primo caso, o azzerandolo nel secondo. In questa luce, un’assenza di aggressività può significare assenza di interesse verso le cose e le persone, o un’idea talmente scadente di sé da lasciare che chiunque ci calpesti.
Non dobbiamo aver timore del linguaggio dell’aggressività, perché l’aggressività è parte integrante, e sana, della relazione. Giacobbe, Delacroix e ora anche Pezzini sono qui a ricordarcelo.


Stampa il documento


Segnala questo testo ad un amico