base

home/documenti/recensioni

Marianella Sclavi, Arte di Ascoltare e mondi possibili

Bruno Mondadori editore, Milano, 2003

Recensione di Antonio Castagna


copertina Il libro appare come una sorta di manuale, ricco di esercizi e di esempi. È costruito per lezioni e dopo un po’ sembra di trovarsi in un’aula universitaria, anche se un po’ atipica. In quest’aula infatti si parla, si discute, gli studenti intervengono e stimolano chiarimenti e approfondimenti.
Il sottotitolo: Come si esce dalle cornici di cui siamo parte, suggerisce in maniera adeguata che l’obiettivo dell’autrice è quello di suggerirci un metodo per affrontare creativamente i conflitti cercando e costruendo “mondi possibili”, imparando a uscire dalle cornici di cui siamo parte, cioè da quei modi di vedere, sentire, pensare, interpretare la realtà che ci guidano ogni giorno. Non che questi siano sbagliati in sé. In situazioni normali sono efficaci e ci aiutano a risparmiare tempo ed energia mentale. Sono però problematici quando affrontiamo situazioni complesse, specie quando incontriamo altri che vivono in cornici diverse.
Premessa necessaria per imparare a uscire dalle cornici di cui si è parte è di imitare il “giudice saggio” che, dopo aver ascoltato il primo dei contendenti gli da ragione; la stessa cosa fa dopo con il secondo. A questo punto tra il pubblico c’è uno che si alza e dice che non è possibile che abbiano ragione entrambi e il giudice dà ragione anche a lui. La premessa: “tutti hanno ragione” è necessaria per uscire dalle false dicotomie del tipo: torto/ragione; giusto/sbagliato che danno vita a escalation simmetriche o, viceversa, all’accettazione autocolpevolizzante della ragione dell’altro.
L’elaborazione creativa del conflitto impone invece l’ascolto attivo delle ragioni di tutti, dell’interesse che è dietro la posizione che ognuno prende in una discussione, un confronto, un negoziato. Uscire dalle cornici significa quindi osservare come si struttura il campo e quali ragioni stanno dietro le prese di posizione.
Marianella Sclavi cita, tra gli altri, Roger Fischer e William Ury, (L’arte del negoziato, Mondadori, 1996) studiosi della negoziazione nel progetto «Harvard Negotiation Project». Racconta di quando, da consulenti del Presidente Carter nel negoziato di Camp David tra Israele ed Egitto sul Sinai, consigliarono al Presidente degli Stati Uniti di cercare di capire cosa ci fosse dietro le presa di posizione dell’Egitto che voleva la restituzione del Sinai invaso nel 1967 e cosa invece dietro la richiesta israeliana di trattenerne la metà. Per l’Egitto si trattava della sovranità, per Israele della sicurezza. Messa così le posizioni erano inconciliabili, ma cercarne le ragioni aiutò a trovare la soluzione. Il Sinai fu restituito per intero, ma divenne zona smilitarizzata, accontentando l’aspirazione alla sovranità dell’Egitto e il bisogno di sicurezza di Israele. Passare dalle posizioni agli interessi permise di trovare dei punti di condivisione e a partire da questi raggiungere il grado di fiducia necessario.
Il rischio forse più forte di questa impostazione è di apparire relativista, del tipo “tutto va bene”. A questa possibile deriva si oppone però la ricerca dei fatti come terreno condiviso, a partire dai quali certamente le interpretazioni e i contesti di riferimento possono divergere.
Affrontare creativamente i conflitti implica, per Marianella Sclavi, la connessione di tre dimensioni: Ascolto attivo, Autoconsapevolezza emozionale e Gestione creativa dei conflitti.
Praticare l’“ascolto attivo” (a cui è dedicato il primo capitolo) significa innanzitutto saper diventare un buon etnografo, uno di quelli che praticano l’osservazione partecipante, che hanno la capacità di accorgersi di ciò che è diverso, di valutare le azioni dell’altro come reazioni alle proprie, trattenendo il desiderio di etichettarle, ma ascoltando le proprie reazioni alle reazioni dell’altro, capacità che Marianella Sclavi definisce “autoconsapevolezza emozionale” (a cui è dedicato il secondo capitolo). Ascolto attivo, autoconsapevolezza emozionale, capacità di distinguere le diverse cornici di significato nelle quali un medesimo fatto può essere inserito (“bisociazione”), sono le necessarie premesse per intervenire in maniera creativa nelle situazioni conflittuali, come la bibliotecaria che invece di invitare i due contendenti ad andare a litigare fuori, si interessa della questione, scoprendo che uno dei due (asmatico) ha bisogno della finestra aperta, mentre l’altro (che ha i reumatismi) ha bisogno che venga chiusa. Entrambi hanno ragione, l’unica possibilità è escogitare una soluzione inedita: forse si potrebbe aprire la finestra della stanza accanto, così l’aria circola comunque ma senza creare corrente.

Il libro è un ottimo manuale, con in più il pregio di una base epistemologica molto solida che ha tra i suoi referenti teorici Gregory Bateson (la teoria delle cornici, il concetto di deuteroapprendimento per distinguere i livelli del cambiamento per esempio), Kurt Lewin (la teoria del campo e la Ricerca azione come metodo di indagine), Michail Bachtin a cui deve il concetto di exotopia, contrapposto a quello di empatia come atteggiamento adeguato a riconoscere la cultura dell’altro come diversa dalla nostra. L’impostazione di Bachtin permette di considerare il rapporto con l’altro come confronto e dialogo capace di illuminare le reciproche peculiarità più che ridurle a unità.
La bellezza di un manuale non riduzionista è quella di coniugare un linguaggio semplice a un approccio che non intende fornire ricette per la facile risoluzione dei problemi. “Le sette regole dell’arte di ascoltare”, proposte dalla Sclavi alla fine di ogni capitolo, sono il massimo della riduzione possibile, restano però indicazioni di metodo, in quanto tali non prescrivibili e impegnative per chi decide di attuarle. La settima dice: “Per divenire esperto nell’arte di ascoltare devi adottare una metodologia umoristica. Ma quando hai imparato ad ascoltare, l’umorismo viene da sé”. Impegnativa, tautologica, non prescrittiva.


Stampa il documento


Segnala questo testo ad un amico