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Arjun Appadurai, Modernità in polvere

Meltemi Editore, Roma, 2001

Recensione di Antonio Castagna


copertinaIl titolo originale, Modernity at large, che indica sia la polverizzazione che la dispersione, riassume in maniera concisa il contenuto del testo. Appadurai, antropologo americano di origine indiana, che si è occupato a lungo di studi sulle aree regionali, si interroga sulla difficoltà di interpretare la crisi dello stato nazione e sulle conseguenze dell’emersione delle località, che vede nello scatenarsi delle guerre etniche il suo massimo grado di “implosione”.
La sua critica dell’essenzialismo e del primordialismo lo porta a tracciare un quadro complesso nel quale il processo di globalizzazione è visto essenzialmente come creatore di “sfere pubbliche diasporiche” caratterizzate da panorami mobili che Appadurai suddivide in cinque distinte categorie: etnorami, finanziorami, mediorami, ideorami e tecnorami, nei quali l’immaginario gioca un ruolo fondamentale, nel senso che cessa di essere immaginario condiviso, finalizzato a produrre ritualità e credenze adatte a superare il senso della finitudine di una comunità ed entra invece in un gioco complesso in cui è chiamato all’invenzione in un contesto deterritorializzato.
Il processo di globalizzazione, lungi dall’omogeneizzare le differenze, viene così inglobato in sfere più ampie a base locale. Appadurai fa l’esempio dei filippini che ascoltano ed imparano a memoria la musica pop americana, meglio degli americani stessi, mentre il resto della loro vita è sganciato da ogni referenzialità alla vita degli americani. L’immaginario, l’informazione, la tecnologia si rivelano cioè flussi che si integrano nell’esperienza e nell’identità degli individui, per cui è inopportuno trattarli come fattori che si sommano a identità primordiali preesistenti. Anche il rapporto con la decolonizzazione, ci dice Appadurai, non fu affatto una semplice rimozione di elementi estranei e conseguente riscoperta di elementi originari. Anzi, nel caso narrato della tradizione del cricket indiano, la rivendicazione degli indiani, di poter accedere ai campi degli inglesi, si saldò alla protesta nazionalista, per cui il cricket poté diventare uno degli sport nazionali.
Altre manifestazioni riguardano invece la deterritorializzazione del locale, che viene reinventato nelle sfere pubbliche diasporiche create da migranti e rifugiati in tutto il mondo.
Tali dinamiche negano l’omogeneizzazione delle culture, presentandoci invece processi molto più complessi e difficili da interpretare e contenere. L’esplosione e la polverizzazione dello stato nazionale, unita ai flussi globali, crea infatti panorami caratterizzati dalla “disgiunzione” tra immaginario e luogo, divenuto un “deposito sincronico di scenari culturali”, che permette un continuo processo di reinvenzione (“tutto il mondo è Disneyland”) caratterizzato da quella che Appadurai chiama con una formula efficace ed evocativa, “nostalgia senza memoria”.
In questi scenari, èlite politiche ed economiche possono avere buon gioco nel trasformare il vicino in nemico, sostenendo la trasformazione dell’etnicità, da forma storicamente costituita di classificazione, naturalizzandola “come impulso primigenio della vita sociale”. Ne è derivato spesso, dagli anni ’90 a oggi un processo “a cascata” di progressiva riduzione che Appaduarai, sulla scia di Tambiah (1990), descrive come: focalizzazione, transvalutazione, polarizzazione e dicotomizzazione. Questo processo di ripiegamento sull’etnicità è descritto come implosione, piuttosto che esplosione, e ci permette di leggere con uno sguardo non fissista le culture e le differenze. Da questo punto di vista la prospettiva proposta da Appadurai non è per niente rassicurante, nel senso che è una prospettiva che interroga sulle responsabilità e sulle possibilità del pensiero e dell’azione, mentre si astiene da facili spiegazioni, ideologie, attribuzione di torti e ragioni.
Nello stesso tempo ci mette di fronte al compito di ridefinire lo spazio e la possibilità dei luoghi e delle relazioni di “vicinato”, che cessano di presentarsi come modelli dati.


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