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Capitini, Aldo

Nato a Perugia il 23 dicembre 1899. Da adolescente visse l'esperienza del futurismo, della poesia crepuscolare e del dannunzianesimo e la cultura che permeava l'Italia di allora lo rese inconsapevolmente nazionalista ed interventista. Nel 1915 insieme ai suoi coetanei andò a salutare con entusiasmo i professori che partivano per il fronte, mentre a lui soltanto la gracile costituzione evitò il servizio militare e la guerra. La sua grande trasformazione ideologica avvenne fra il 1918 ed il 1919 quando abbandonò le idee nazionaliste e considerò la guerra "in rapporto, meno con la nazione, e piu' con l'umanita' sofferente"; iniziò allora ad apprezzare i fondamenti del socialismo, mentre gia' da qualche anno aveva abbandonato la pratica della religione cattolica. Terminato l'istituto tecnico, si mise a studiare da autodidatta il latino ed il greco, i grandi autori classici ed i testi sacri del cristianesimo. L'intenso sforzo intellettivo gli causò un esaurimento psico-fisico. Per ritrovare la salute accettò un posto da precettore nella campagna umbra. Partecipò poco agli avvenimenti politici, in quanto la sua fu una formazione principalmente interiore, ma il dramma che visse l'Italia in quegli anni (la marcia su Roma, l'uccisione di Matteotti, l'avvento della dittatura) rafforzò la sua totale avversione al fascismo.
Nel 1924 ottenne come esterno la licenza liceale e grazie ad una borsa di studio si iscrisse alla Facolta' di Lettere e Filosofia all'università di Pisa. Alla Normale si legò d'amicizia con studenti e professori avversi al fascismo, pur senza attivarsi personalmente in politica. Si laureò nel 1928 con pieni voti e lode. La firma dei Patti Lateranensi avvenuta l'anno seguente approfondi' il suo distacco sia verso l'istituzione romana, colpevole di essersi rivelata ancora una volta "alleata dei tiranni", sia verso il fascismo, l'avversione al quale divenne non piu' solo politica, ma anche religiosa. Contemporaneamente Capitini ricercò la forza interiore negli spiriti religiosi puri, quali Cristo, Buddha, San Francesco, Gandhi. In particolare fu ammiratore di San Francesco d'Assisi, rimanendo colpito dal fatto che egli reintrodusse nella spiritualita' cristiana il tema della nonviolenza. Ma soprattutto fu ammiratore di Gandhi. In lui trovò lo spirito di tolleranza verso le altre religioni ed il senso che ogni lotta per la libertà è anche una lotta religiosa.
Capitini iniziò a lavorare alla Normale di Pisa, chiamato da Gentile, ma, invitato dal vicedirettore della scuola ad inviare un telegramma di congratulazioni a Mussolini, rifiutò decisamente. In questo periodo approfondi' la conoscenza del metodo nonviolento di Gandhi e contemporaneamente divenne vegetariano; tale scelta accentuò la tensione esistente fra lui e Gentile.
Nel 1933 rifiutò di prendere la tessera del Partito Fascista e per questo motivo venne allontanato dal suo posto alla Normale. Ritornò a Perugia dove visse poveramente impartendo lezioni private; nello stesso tempo creò una fitta rete di amicizie, costituendo gruppi antifascisti a Firenze ed a Roma, e collaborò con intellettuali come Leone Ginzburg ed Elio Vittorini. Fu presentato anche a Benedetto Croce, il quale benché su posizioni diverse dalle sue lo aiutò a pubblicare i suoi scritti presso l'editore Laterza. Così nel 1937 uscì il libro Elementi di un'esperienza religiosa, che ebbe successo tra gli antifascisti, sebbene non furono molti ad accogliere le tesi dell'autore sulla nonviolenza, sulla non collaborazione e sulla libera religiosità. Nel 1940 a Bologna Capitini organizzò gli anti-littoriali, cioé riunioni serali affollatissime di antifascisti che si svolgevano nei giorni stessi dei littoriali fascisti. Egli fu dunque uno dei protagonisti della Resistenza interna ed al riguardo inventò una formula nuova: il liberalsocialismo. Fonda l'omonimo movimento con il filosofo Guido Calogero. Ma quando nell'agosto del 1943 a Firenze si riuniscono i membri del Movimento Liberalsocialista per dar vita al Partito d'Azione, Capitini non vi aderì e preferì restare da solo. Capitini non è d'accordo, preferisce il movimento, ha una visione di partecipazione allargata al potere, dal basso, con i partiti e i loro apparati ridotti al minimo. Considerava infatti il suo liberalsocialismo l'insegna non di un partito in nuce, ma di un movimento etico-religioso, che mirava ad un rinnovamento più profondo, non soltanto sociale ma morale, cui non sarebbe stata adatta la forma di partito.
Nel febbraio 1942 Capitini venne arrestato e fu detenuto per quattro mesi nel carcere delle Murate di Firenze, condividendo la cella con Guido Calogero. Nel maggio 1943 fu nuovamente arrestato a Perugia e venne liberato il 25 luglio. Quando l'antifascismo si trasformò in rivolta armata, Capitini non partecipò al movimento partigiano e si dovette nascondere nella campagna per sfuggire ai tedeschi fino al 20 giugno 1944 quando Perugia venne liberata.
Coloro che ebbero più riserve nei suoi confronti furono i comunisti, che stabilivano una correlazione diretta fra chi non si era opposto con le armi al nazi-fascismo ed una sorta di collaborazionismo con il regime. Ciò nonostante egli aderi' al Fronte Democratico Popolare, ma le sue proposte di indire assemblee popolari "nonviolente e ragionanti" non furono ascoltate. In un articolo del marzo 1948, ad un mese dalle elezioni, Capitini mostrava la speranza che il Fronte Democratico Popolare potesse accogliere la sua proposta di istituire il servizio civile e quella di un ministero della pace o almeno di un Commissariato per la "Resistenza alla guerra". Dopo la liberazione le sue idee personali, condite di forti convincimenti religiosi, lo allontanarono da coloro che un tempo gli erano stati compagni. Egli non aderì a nessun partito e per definire se stesso fu il primo ad usare il temine "indipendente di sinistra". Ritornò all'università di Pisa, ma alla richiesta avanzata a nome della scuola da Luigi Russo, allora direttore, di nominare Capitini vicedirettore il Ministro della Pubblica Istruzione si oppose seccamente. Capitini comunque si prodigò per seminare nell'Italia ormai libera le sue idee nonviolente e di rinnovamento religioso, organizzando comitati pacifisti di resistenza alla guerra.
L'interesse di Aldo Capitini per l'obiezione di coscienza, che egli definiva obiezione al "servizio dell'uccisione militare", si può far risalire alla sua amicizia con Claudio Baglietto, il giovane allievo della Scuola Normale Superiore di Pisa, rifiutatosi di vestire la divisa nel '32 e morto esule nel '40. Capitini, pur non sottovalutando i motivi politici che possono spingere all'obiezione, esaltava le motivazioni religiose. All'inizio del 1949 l'opinione pubblica italiana venne a conoscenza dell'obiezione professata da Pietro Pinna. Il giovane aveva incontrato casualmente Aldo Capitini in un convegno del Movimento di Religione tenutosi a Ferrara nel corso del 1948. In quell'occasione Capitini aveva parlato anche di obiezione di coscienza e Pinna era stato affascinato dalle sue idee di opposizione alla guerra. Gli scrisse diverse volte, parlandogli del suo proposito di obiettare, ma Capitini per non influenzarlo nella sua scelta carica di conseguenze dolorose non gli rispose, se non dopo che il giovane fu posto in prigione, quando si attivò vivacemente per far conoscere il suo caso all'opinione pubblica. Dopo la presa di posizione di Pinna, Capitini si prodigò perché il suo caso non restasse sconosciuto: scrisse ad amici parlamentari, interessò pacifisti italiani ed esteri, intervenenne sulla stampa e prese le sue parti di fronte al Tribunale Militare di Torino, essendo teste, per l'ideologia, insieme ad Umberto Calosso e a Edmondo Marcucci. Da quel momento Capitini assunse un impegno costante a sostegno degli obiettori. La prima proposta di legge volta a riconoscere gli obiettori di coscienza fu presentata dagli onorevoli Calosso e Giordani. Il 28 e 29 ottobre 1950 si tenne a Roma il primo convegno italiano dei problemi dell'obiezione di coscienza, nel quale Capitini svolse la relazione introduttiva su "La situazione internazionale e l'obiezione di coscienza". Nello stesso anno dal 17 al 24 agosto partecipò a Londra al congresso mondiale delle religioni per la fondazione della pace, durante il quale parlò, tra l'altro, del lavoro che veniva svolto in Italia a favore dell'obiezione. Organizzato da Capitini si tenne a Perugia tra il 30 ed il 31 gennaio 1952, in occasione del quarto anniversario dell'uccisione di Gandhi, un convegno internazionale per la nonviolenza. Al termine dei lavori si costituì, sempre su iniziativa di Capitini, un Centro di coordinamento internazionale per la nonviolenza, che rappresentò il primo nucleo di persone che avrebbero dato vita in seguito al Movimento Nonviolento. Sempre a Perugia promosse tra il 12 ed 14 settembre dello stesso anno un convegno di studio su La nonviolenza riguardo al mondo animale e
vegetale. Inoltre fondò il Centro di orientamento religioso (C.O.R.) ed ebbe come collaboratrice Emma Thomas, una quacchera inglese. Nel 1955 venne pubblicato il suo libro Religione aperta, nel quale Capitini riunì tutti i temi della sua esperienza, fra cui quello della nonviolenza. L'8 febbraio dell'anno seguente, proprio nell'anniversario della conciliazione tra il Vaticano ed il governo fascista, i cardinali della Suprema Sacra Congregatio Sanctii Officii condannarono il libro ed ordinarono che fosse
inserito in indicem librorum proibitorum. Nello stesso anno Capitini pubblicò il libretto Rivoluzione aperta, incentrato sulla nonviolenza e sull'esperienza di Danilo Dolci, e vinse un concorso universitario, ottenendo una cattedra a Cagliari. Nel 1959 pubblicò "L'obiezione di coscienza in Italia". L'anno seguente conobbe don Milani attraverso il testo Esperienze pastorali, che definì "il più bel libro che un cattolico italiano ci abbia dato in questo secolo". Nell'estate del 1961 andò a trovare il sacerdote ed i due si dimostrarono reciproco rispetto ed ammirazione. Nacquero in questo e nei successivi incontri le radici dell'interesse di don Milani per l'obiezione.
All'inizio degli anni Sessanta Pietro Pinna, dopo aver lavorato per una decina d'anni come impiegato nella Cassa di Risparmio di Ferrara, venne chiamato da Aldo Capitini ad occuparsi a tempo pieno a Perugia del movimento che stava nascendo intorno ai temi della nonviolenza. Lo stipendio gli fu dato dal filosofo umbro che lo detrasse dalla sua paga di docente universitario. In un momento di grave tensione internazionale Capitini realizzò, con il Centro di coordinamento per la nonviolenza e con l'appoggio di altre forze politiche di sinistra, la marcia per la pace e la fratellanza dei popoli, di ventiquattro chilometri fra Perugia ed Assisi.
La manifestazione si svolse il 24 settembre ed ebbe un grande successo; l'esperienza è narrata da Capitini nel libro "In cammino per la pace". Le diverse forze presenti alla marcia sentirono la necessità di continuare l'impegno per la pace e nacque così la Consulta italiana per la pace, alla cui presidenza venne nominato Capitini.
Fu anche costituito il Movimento nonviolento per la pace, con segretario Capitini. Alla fine di quell'anno si costituì a Roma un Comitato nazionale che aveva lo scopo di promuovere una campagna per ottenere il riconoscimento giuridico dell'obiezione di coscienza ed al quale aderirono numerose personalità, tra cui Aldo Capitini, Guido Calogero, Nicola Chiaromonte, i deputati Paolo Rossi, Riccardo Lombardi, Giuseppe Perrone Capano, lo scrittore Ignazio Silone e gli avvocati Arturo Carlo Jemolo, Leopoldo Piccardi e Giorgio Peyrot. Il primo obiettore di coscienza cattolico in Italia per motivazioni religiose fu Giovanni Gozzini. Del suo caso si occupò anche Aldo Capitini, che come sempre attivissimo tentò di utilizzare la nuova attenzione dell'opinione pubblica per sollecitare una legge che permettesse l'obiezione. Nel 1964 Capitini fondò la rivista Azione Nonviolenta, che divenne l'organo ufficiale del Movimento
Nonviolento. L'anno dopo ottenne finalmente il trasferimento da Cagliari all'università di Perugia. Dopo una visita a don Lorenzo Milani ormai moribondo cercò di pubblicare il suo libro Lettera ad una professoressa. Nel 1967 pubblicò l'opera Le tecniche della nonviolenza. Il 28 luglio dell'anno seguente, su richiesta degli amici, scrisse Le ragioni della nonviolenza, che è una formulazione sintetica dei suoi concetti di nonviolento ed un pò anche il suo testamento spirituale, visto che due mesi dopo, il 19 ottobre, morì per i postumi di un intervento chirurgico. Sulla sua lapide nel cimitero di Perugia Walter Binni scrisse: "Libero religioso e rivoluzionario nonviolento".