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Tsunami politici: flussi e riflussi

di Luca Mori / 24.04.2013 / scritto il 19-05-2015

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Italia 2013. Nel suo giro elettorale in alcune piazze italiane, evitando la presenza diretta in televisione ed approfittando tuttavia della risonanza televisiva della sua deliberata assenza, Beppe Grillo ha utilizzato l'immagine dello “tsunami” per riferirsi all'avanzare travolgente del suo Movimento Cinque Stelle. Lo sconvolgimento del panorama politico che si è verificato è in effetti paragonabile soltanto a quello del 1994: l’impressione è che non si sappia più “dove siamo”, perché le tradizionali retoriche ed appartenenze politiche sono state spiazzate – tutti hanno perso qualcosa – e le mappe usuali si sgretolano tra le mani. C’è il tempo in cui esiste la sequela lenta e tutto appare immutabile; c’è il tempo in cui tutto precipita non perché lo si è scelto. Soltanto una visione miope, però, si accontenta di cercare la causa del mutamento del sistema è dovuta all'ultimo millimetro, agli ultimi cambiamenti. L'elastico troppo teso si spezza perché si è superata la soglia della sollecitazione ammissibile, ma tutta la tensione esercitata concorre a farlo spezzare e non soltanto l'ultimo infinitesimo spostamento. Fuor di metafora, le analisi miopi sono quelle più frequenti, che trovano la spiegazione del successo del movimento di Grillo in un disagio antieuropeo cresciuto nell'ultimo anno, o nella troppa “austerità” imposta dal governo Monti.
Il giorno successivo alle elezioni nazionali, quando ormai erano chiari i risultati, un esponente politico del partito dato come vincente dai sondaggi (PD), con percentuali poi clamorosamente smentite dal conteggio dei voti, dovendo commentare l'inatteso risultato del Movimento Cinque Stelle ha dichiarato: “Dobbiamo dire agli elettori: ora abbiamo capito...”. Si trattava di una dichiarazione troppo precipitosa, che peraltro segnalava la persistenza di un atteggiamento riluttante al tempo lungo e allo sforzo che la comprensione richiede: ad esempio, allora nessuno avrebbe previsto che, nel giro di due mesi, la Presidenza e la Segreteria del PD avrebbero consegnato le dimissioni, per uno sgretolamento che era ben precedente – per quanto latente – alla cattiva prova elettorale del PD. L’impressione è che la comprensione di ciò che è accaduto e di ciò che ancora potrebbe accadere sia molto lontana.
A meno di due mesi dalle elezioni nazionali, le elezioni regionali in Friuli evidenziano una significativa flessione nei voti del Movimento Cinque Stelle. Non ci sono elementi per trarne generalizzazioni ed elaborare una “morale della favola”. Il 20 aprile, dopo la giornata elettorale in Friuli, Grillo tentava di mobilitare il suo seguito contro un “golpe” ordito a Roma: come si legge nel blog: «Il M5S da solo non può però cambiare il Paese. È necessaria una mobilitazione popolare. Io sto andando a Roma in camper. Ho terminato la campagna elettorale in Friuli Venezia Giulia e sto arrivando. Sarò davanti a Montecitorio stasera. Rimarrò per tutto il tempo necessario. Dobbiamo essere milioni. Non lasciatemi solo o con quattro gatti. Di più non posso fare. Qui o si fa la democrazia o si muore come Paese. Una raccomandazione: nessun tipo di violenza, ma solo protesta civile. Isolate gli eventuali violenti».
L’iniziativa è saltata, il M5S si prepara ad un’opposizione “istituzionalmente corretta” e si ha l’impressione che ci sia qualcosa di vecchio, forse molto, nel nuovo.
Grillo, si dice, usa le nuove tecnologie della comunicazione in modo notevole: il sistema non si regge solo sul blog, ma anche sui gruppi MeetUp e su altri canali di social networking capaci di alimentare il passaggio dal Web alle piazze. Utilizza il Web per raccogliere voti e indicare priorità: i voti delle Quirinarie, resi noti (ma come accertare?) dopo la rielezione di Napolitano, attribuiscono 4.677 voti a Rodotà (su 28.518 voti complessivi espressi online): si dice che sono i voti del Movimento, dei più attivi iscritti e partecipanti alla mobilitazione online del movimento, ma colpisce la differenza con i voti ottenuti dal M5S alla Camera: 8.689.458. Siamo di fronte a due dimensioni della rappresentanza separate da un abisso. Eppure, il passaggio dalle piattaforme online alla presenza nelle piazze è stato gestito ed organizzato con successo in molte circostanze. Nelle piazze, tuttavia, la tecnica di comunicazione di Grillo è vecchia come il mondo: la sua presenza scenica ed i suoi discorsi sono zeppi delle strategie indicate dai saggi sulle tecniche della propaganda fin dagli inizi del Novecento. È inevitabile che sia così in un movimento carismatico sui generis com’è il Movimento Cinque Stelle, per quanto esso introduca una variante inedita di democrazia cesaristico-plebiscitaria che rifiuta la differenziazione destra-sinistra e la presenza diretta nelle cornici massmediatiche.
Tanto nella storia politica quanto in quella naturale un grande ed improvviso cambiamento può essere l'esito di lente e piccole mutazioni accumulatesi nel corso del tempo: in molti casi, soltanto in seguito vi si riconoscerà l'esito di un insieme di trasformazioni di cui non si era tenuto adeguatamente conto anche se, per molti versi, tali trasformazioni erano sotto gli occhi di tutti. Allora viene il tempo dello stupore e dello sgomento: ci si stupisce di non avere riconosciuto per tempo l'entità di ciò che stava accadendo e ci si sgomenta di non essersi resi conto che il sistema del quale si faceva parte aveva superato una soglia critica.
Un terremoto, una frana o un'onda anomala segnano una discontinuità evidente nello spazio e nel tempo della percezione umana, ma – a parte il carattere dirompente del fenomeno – il fatto che ci appaiano come cambiamenti improvvisi dipende dalla nostra incapacità di cogliere e monitorare i mutamenti più lenti che ne sono alla base: il sistema complessivo – la struttura di una parete rocciosa e la tensione sotterranea tra le placche terrestri, ad esempio – muta costantemente, ma per noi diventa effettivamente rilevante solo l'ultimo micro-mutamento, che determina il macro-cambiamento che ci colpisce. Così, nella storia politica, quelle che appaiono come grandi fratture e sconvolgimenti dell'ordine consueto sono l'esito di lunghissime catene di azioni e di omissioni, di decisioni prese e di scelte non fatte. Si tende però a descrivere e spiegare ciò che accade come se le responsabilità e gli eventi decisivi fossero soltanto quelli prossimi all'emergenza della novità: è una sorta di illusione prospettica che consegna l'osservatore all'auto-inganno e impedisce di comprendere ciò che è accaduto e ciò che ancora potrebbe accadere.
Nel 1917 Antonio Gramsci scriveva che «ciò che avviene, non avviene tanto perché alcuni vogliono che avvenga, quanto perché la massa degli uomini abdica alla sua volontà, lascia fare, lascia aggruppare i nodi che poi solo la spada potrà tagliare, lascia promulgare le leggi che poi solo la rivolta farà abrogare, lascia salire al potere gli uomini che poi solo un ammutinamento potrà rovesciare. La fatalità che sembra dominare la storia non è altro appunto che apparenza illusoria di questa indifferenza, di questo assenteismo. […] Ma i fatti che hanno maturato vengono a sfociare; ma la tela tessuta nell'ombra arriva a compimento: e allora sembra sia la fatalità a travolgere tutto e tutti, sembra che la storia non sia che un enorme fenomeno naturale, un'eruzione, un terremoto, del quale rimangono vittima tutti, chi ha voluto e chi non ha voluto, chi sapeva e chi non sapeva, chi era stato attivo e chi indifferente».
L’indifferenza e l’assenteismo di cui scrive Gramsci possono perdurare anche dopo le trasformazioni che contribuiscono a generare, senza chiedersi se tali trasformazioni conducano ad esiti desiderabili. Accade poi che quanti hanno contribuito ad alzare di millimetro in millimetro la pendenza scivolosa delle omissioni, delle connivenze, dei privilegi, ecc. – affidandosi alle strategie cosmetiche del marketing elettorale, attuate mediante bricolage di simboli e riposizionamento di vecchi candidati con un nuovo packaging – si propongano come capaci di provvedere al rimedio, per quanto tardivo.