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Il genocidio come proseguimento del lavoro normale

Sembra questo il motivo che accomuna le testimonianze degli esecutori della carneficina del Ruanda. / scritto il 20-10-2004

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Il genocidio come proseguimento del lavoro normale. Sembra questo il motivo che accomuna le testimonianze degli esecutori della carneficina del Ruanda, in cui vennero massacrati ottocentomila tutsi su poco più di un milione e quattrocentomila, da parte degli hutu, in circa dodici settimane. I dieci prigionieri che hanno rilasciato le proprie testimonianze a dieci anni dagli avvenimenti all'autore del libro "A colpi di machete", di J. Hatzfeld, edito da Bompiani nel 2004 e uscito in questi giorni, si considerano persone che hanno svolto un lavoro, con l'attrezzo più usato dai contadini e con le tecniche e le cadenze del lavoro stagionale. Ogni tentativo di verifica non consente di trovare "la causa" del genocidio. I secolari litigi per le vacche, la competizione per le terre e il potere politico, l'invidia degli hutu per la bellezza dei tutsi, i guasti del colonialismo, l'Onu che scappa, sono tutte ragioni esistenti, ma non spiegano ciò che è successo in Ruanda. Si tratta di un prolungamento dell'arcaico nella contemporaneità o è la contemporaneità che consente la consapevolezza e il riconoscimento della continuità, dell'immutabile, di ciò che è sempre stato? Non vi è risposta all'ambiguità.
(Ugo Morelli)

Sul tema vedi anche nella sezione Paper di Polemos, "Non cantano più gli uccelli" di Fabio Pipinato