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L'identità è l'erranza.

Israele lascia Gaza. di Ugo Morelli / scritto il 16-08-2005

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Israele lascia Gaza. di Ugo Morelli.

Le contingenze storiche come l’abbandono della striscia di Gaza e poi della Cisgiordania da parte dei coloni ebrei israeliani vanno guardate con l’occhio della storia e con la forza che solo può venire dalla lacerante elaborazione del conflitto interno.
L’identità è stata l’erranza per tutta la storia, ma il sogno della terra promessa non si è spento mai. Se sia una terra che fa un popolo o se l’unica vita degna sia mobile, sono stati i dilemmi che hanno squarciato i secoli. Un conflitto interiore che si fa esperienza storica non appena una terra prende forma e l’anima pare si acquieti. Provvisoriamente. La terra promessa rassicura ma rende ostaggi. L’erranza, per quanto fragile, è custode dell’identità come nessuna stanzialità. Non vi sono minacce né usurpazioni efficaci se la dimora è l’anima. Anche i relitti di tempeste distruttive divengono segni luminosi di riconoscimento. Perfino l’arte di celare, addirittura a se stessi, radici e passato, alla fine lascia germogliare frutti preziosi. La ricerca di una dimensione pura del “noi” genera ossessioni. La purezza che porta ad elevarsi, a cercare di essere al di sopra delle possibilità, detta anche marcate separazioni e produce solitudine. Compito di chi sente il richiamo della Parola è quello di liberare la luce attraverso le azioni. È la grande responsabilità del perfezionamento della creazione che la tradizione ebraica affida all’uomo. E ognuno, in questo compito, è solo di fronte a Dio. La separazione tra “noi” e “loro”, necessaria e terribile, esige ironia. Perché si istituisca un gioco del possibile e il riconoscimento di ogni margine non suoni come minaccia. Alla ricerca di elevazione interiore non è necessario che segua una soluzione realizzata che abbatta l’ambiguità e irrigidisca il gioco. Tutte le volte che succede e che è successo si sono generate tragedie. Il margine come luogo d’incontro e la mescolanza delle lingue e dei luoghi hanno sempre vitalizzato l’individuazione e dato potere alla distinzione. Tranne quando ha vinto la paura. E oggi vince la paura. È questa la conversione da avviare. Accogliendo l’angoscia del presente ma anche quella del progetto di convivere valorizzandosi reciprocamente. Una terra, due popoli, parlando con il nemico che, peraltro, piange e prega sulla tomba degli stessi patriarchi. Ricordando per farne esperienza di vita i lunghi tempi in cui gli ebrei pregavano in arabo, nelle terre della convivenza felice e possibile.

(Ugo Morelli)