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Governare in forza di episodi

di Luca Mori / scritto il 27-01-2008

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Tra dicembre e i primi di gennaio, il dibattito politico tedesco si è acceso attorno alla proposta del governatore Cdu dell’Assia, Roland Koch: rendere più severo il diritto penale, con speciale riferimento ai giovani, istituendo campi di rieducazioni per quelli di loro che (anzitutto stranieri) si rendano colpevoli di crimini (in Italia, cfr. gli articoli A. Tarquini, Germania, proposta shock: campi per criminali stranieri, su Repubblica.it, 31 dicembre 2007; D. Ta., Campi per i teppisti, sì di Angela Merkel, su Corriere.it, 5 gennaio 2008).
La proposta va interpretata nel contesto della competizione tra Spd e Cdu, il partito di Angela Merkel, uniti nella Grosse Koalition. Sorvoliamo sul dibattito tedesco, sulle diagnosi di populismo e xenofobia, sull’accento messo sulla criminalità degli stranieri, e sulle questioni collegate. Gli articoli, anche quelli tedeschi, in genere non si soffermano a considare in che cosa consista, di preciso, la proposta dei campi di rieducazione; evocano i campi di concentramento, ed accennano al fatto che la rieducazione dovrebbe riguardare valori come ‘rispetto degli anziani’, ‘disciplina del lavoro’, ‘gentilezza’, e così via.
Prima di essere assertivi, ed evitando di utilizzare qui il lessico del dovere o non dover fare, prendiamo l’episodio come occasione per fare un esercizio che dovrebbe essere preliminare al momento assertivo. Ci sono nella proposta – nella formulazione che circola – delle logiche implicite che dovrebbero essere discusse?

Ne troviamo tre, senz’altro familiari al pubblico italiano:
1) La logica della ‘proposta’ a seguito dell’emergenza. Qui, il caso che precede di poco la proposta di Koch è l’aggressione di un anziano tedesco nella metropolitana di Monaco: due giovani stranieri lo hanno picchiato a sangue, perché questi aveva preteso che spegnessero le sigarette (in una zona in cui è vietato fumare). Naturalmente la stampa ha dato grande risalto all’episodio, e la politica si è mossa di conseguenza. Sovviene, a commento, un brano di Lippman: «La stampa non è un sostituto delle istituzioni. È come il fascio di luce di un lato che si posta incessantemente, portando un episodio dopo l’altro dal buio alla luce. Gli uomini non possono compiere le loro opere con questa sola luce. Non possono governare la società a forza di episodi, incidenti ed esplosioni» (W. Lippmann, L’opinione pubblica, 1922, trad. it., Donzelli, Roma 1995, p. 330).

2) La logica dell’intervento ‘segregativo-didascalico’ sui singoli. L’idea è che possa essere fruttuosa e riabilitativa la cattura di un giovane, il suo inserimento in una comunità isolata e controllata a vista, l’allusa minaccia alla possibilità di un regime più duro, l’assaggio di un internamento costrittivo. Il giovane, dopo aver appreso ad essere più gentile, verrebbe rilasciato al suo ambiente, alle sue condizioni socio-economiche, in un contesto immutato? È possibile per questa via una redenzione individuale? La deriva aggressiva dei minimi conflitti sociali può essere risolta con interventi di tipo segregativo-didascalico?
Una battuta. C’è da chiedersi cosa potrebbero essere dei ‘campi di rieducazione’ pensati per quei politici che non abbiano il senso del ‘pubblico’ (colpevole noncuranza, abusi, etc.). Potrebbero redimersi dopo essere stati redarguiti e ‘rieducati’? o sarebbe meglio cambiare qualcosa in quelle modalità d’esercizio del potere che permettono piccoli e grandi abusi, tragiche inerzie, e così via? E sarebbe sufficiente pensare di cambiare il ‘sistema’? Sono le forme e le ‘condotte di vita’ in senso lato a dover evolvere; ma far evolvere le forme di vita non è un ‘cambiare’ che possa essere indotto con una progettazione ingegneristica locale.

3) La logica della separatezza tra legalità e illegalità. Siamo esposti a un abbaglio che induce a ritenere non solo necessari, ma anche sufficienti gli interventi ‘segregativi’. L’abbaglio è così descritto da Alessandro Dal Lago e Emilio Quadrelli nella prefazione a un libro che riguarda Genova, ma che consente utili generalizzazioni: «la giustapposizione di due mondi, o città, che coesistono ma si ignorano o meglio si guardano, nonostante la prossimità, da una distanza insuperabile – la città legittima dei cittadini, dell’opinione pubblica, delle corporazioni e associazioni professionali, dei partiti e quella più o meno visibile dell’illegittimità, dell’immigrazione, della microcriminalità, della prostituzione palese o occulta, della tossicodipendenza… Due città separate, verrebbe voglia di dire, se poi, nonostante la distanza e l’asimmetria in cui sono collocate, non si potessero ricostruire le relazioni occulte che le legano. La città legittima pronuncia parole di paura o di sospetto verso quella illegittima, ma ricorre a quest’ultima per un gran numero di servizi e di prestazioni: dal lavoro domestico a quello in nero dei cantieri, dalla domanda dei vari tipi di prostituzione a quella di stupefacenti, gioco d’azzardo o credito illegale. La città illegittima è titolare di un’offerta di servizi la cui clientela è costituita in gran parte dai membri della società legittima» (A. Dal Lago, E. Quadrelli, La città e le ombre, Feltrinelli, Milano 20062, p. 13).

(Luca Mori)