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Crash – contatto fisico

Alcune riflessioni sulla pervasività di pregiudizi e ideologie. Di Stefano Pollini / scritto il 13-12-2005

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“Crash-contatto fisico”, è ambientato nella Los Angeles multi-etnica di oggi e, attraverso varie scene parallele – lo stile ricorda “America Oggi” di Altman – il film mostra uno spaccato di vita quotidiana, in cui il pregiudizio razziale costituisce il filo conduttore.
Senza entrare nel giudizio di merito del film, mi interessa soffermarmi sul tema del conflitto etnico e del pregiudizio razziale.
In una delle prime scene si assiste al dialogo fra due ragazzi di colore che escono da un ristorante. I due hanno visioni diverse sul tema dei pregiudizi razziali; uno legge ogni comportamento come conferma della discriminazione nei confronti delle persone di colore e anche il comportamento della cameriera del ristorante lo testimonia, non per niente ha dato a tutti il caffè tranne che a loro, uniche persone nere del locale. L’amico, invece, interpreta i fatti in maniera diversa e non vede nessun pregiudizio nel comportamento della cameriera, dopotutto nessuno di loro due voleva il caffè. L’esempio del caffè è solo uno dei tanti citati, e nel dialogo è evidente come gli stessi fatti possano assumere interpretazioni molto diverse. Una conferma che le cose non parlano da sole, ma siamo noi esseri umani a dare senso e significato a quello che ci accade. Il problema, oltre al rischio paranoico di chi vede pregiudizi ovunque e interpreta come segni di razzismo anche la presenza dei finestrini sugli autobus, è quello di considerarsi fuori dalla questione e non vedere se stessi, con i propri comportamenti e giudizi, alimentare e confermare i pregiudizi razziali (nella scena successiva i due ragazzi rapinano una coppia di passanti).
In secondo luogo il film mette molto bene in evidenza come l’ideologia razzista sia pervasiva a tutti i livelli, in tutti gli strati sociali, e non siano possibili scelte o comportamenti che non facciano i conti con questo problema: il poliziotto di colore in un ruolo di comando, non è indice del superamento dei pregiudizi nella struttura poliziesca, ma del fatto che solo colludendo col sistema ha potuto ottenere quel ruolo, coprendo i poliziotti bianchi che si macchiano di crimini razziali; le promozioni nelle strutture pubbliche non sono fatte semplicemente sul merito, ma si promuove una persona di colore per far vedere che non si è razzisti e, con la stessa logica, si occultano le prove che possono scagionare un bianco che ha ucciso una persona di colore, per timore di disordini sociali. L’ideologia razzista coinvolge tutti: bianchi verso neri, neri verso bianchi, bianchi verso irakeni, irakeni verso messicani. Non sono possibili scelte e comportamenti totalmente liberi che non facciano i conti con i pregiudizi circolanti. Il giovane poliziotto bianco che non sopporta i colleghi razzisti e vorrebbe cambiare il sistema, in realtà è immerso nello stesso immaginario: quando un ragazzo di colore gli dice che ama l’hockey e apprezza la musica country, pensa che lo stia prendendo in giro e non gli crede (con esiti tragici!).
Quando una ideologia, un modo di vedere il mondo, di interpretare la realtà pervade tutto e tutti, bisogna farci i conti e non rimuoverla pensando che non ci appartenga. Non esiste una libertà assoluta, ogni nostra scelta e decisione non avviene in un vuoto pneumatico, libero da ideologie o immaginari, noi siamo totalmente immersi e avvolti in ideologie e immaginari che fanno parte di noi, come il sangue o l’aria che respiriamo. Gli spazi di libertà e di autonomia sono possibili, ma solo a patto di riconoscere l’influenza dei pregiudizi: in quel caso possiamo tenerli a bada e innescare processi di cambiamento. La negazione della loro influenza ci porta solo a confermare i pregiudizi prevalenti in un circolo vizioso che si autoconferma.

(Stefano Pollini)