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La sfida di Barack Obama, il Bob Kennedy nero

di Stefano Pollini. / scritto il 22-11-2006

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Uno dei grandi problemi che il mondo di oggi ci pone è la comprensione di ciò che accade: la realtà sembra sfuggire alle vecchie definizioni, è sovrabbondante, e fatichiamo a descrivere o a contenere le inevitabili contraddizioni insite in ogni fenomeno.
Il concetto di identità è forse paradigmatico di questa situazione per la difficoltà di trovare ciò che è stabile e continuo, in qualcosa che cambia continuamente. Ogni etichetta sembra inadeguata e riduttiva, ma la sfida non è costruire nuove etichette sempre più specifiche, ma rompere le vecchie definizioni e connettere ciò che finora era separato.
E’ questa la sfida che ha accolto Barack Obama, unico senatore nero americano, nuovo leader carismatico del partito democratico. Sull’ultimo numero di Internazionale (4-11 novembre) si parla di lui come possibile candidato alle presidenziali del 2008, viene definito il Bob Kennedy nero ed è considerato il segno della riconciliazione razziale per i progressisti bianchi. E’ uno di quei candidati “trasversali”, ma è proprio il termine “trasversale” a creare qualche problema, visto che suggerisce l’abbandono della propria identità.
Chi è allora Barack Obama?
Anche in questo caso ci troviamo di fronte ad una persona la cui identità sfugge a qualsiasi tentativo di definizione o incasellamento e la cui forza è data proprio dall’aver accettato le proprie contraddizioni e realtà conflittuali, senza negarle. Obama, per esempio, “ha dovuto conciliare, le posizioni progressiste dei nonni materni che non protestarono quando la figlia sposò un africano, con il fatto che la sua nonna aveva paura di essere avvicinata per strada dai mendicanti neri. Ha dovuto conciliare le opportunità del suo mondo, che lo destinava ad Harvard, con il mondo dei ragazzini violenti e disperati del suo quartiere a Chicago. E, cosa forse più importante, ha dovuto conciliare l’immagine di suo padre – che Obama ricordava come un serio studioso – con la realtà di un uomo che morì solo, alcolizzato e quasi in miseria.
Sono mondi molto conflittuali. E quello che Obama racconta sul lavoro fatto per integrarli è rivelatore”. Si scopre, infatti che ha cominciato a dare un senso a questo patchwork proprio quando ha iniziato ad avere un ruolo nella vita pubblica. “Partecipare alla vita pubblica, in altri termini, non ha costretto Obama, a nascondere o annullare le parti irrisolte di se stesso come succede a tanti politici. Piuttosto il contrario: gli ha dato l’opportunità di ricucire i fili sciolti della sua biografia”.
E la sua esperienza ci tocca profondamente perché tutti noi, indipendentemente dal ruolo o dalla professione, ci troviamo spesso a fare i conti con delle contraddizioni che non rientrano in nessuna etichetta predefinita. E’quanto mai necessario, quindi, accedere ad una cultura del conflitto che ci consenta di accettare queste realtà differenti che sono costitutive della nostra identità, integrandole e non nascondendole, trovando loro un senso nuovo, unico e personale, senza aggrapparci a vecchie categorie, forse rassicuranti, ma inadeguate a descrivere la complessità di ognuno di noi.

(Stefano Pollini)