base

home/conflict now

Cerca:

Attenti ai finti dilemmi.

di Antonio Castagna. / scritto il 23-03-2006

torna indietro

Le categorie di torto e ragione sono spesso inapplicabili nelle vicende umane e rischiano di essere fuorvianti, ponendoci davanti a finti dilemmi, a finte scelte, a finte domande. Mettiamo per esempio che io chieda: è giusto o sbagliato occuparsi dell’Africa, continente martoriato dalla fame e dalle guerre civili? È una domanda a cui sarebbe facilissimo rispondere di si. Certo poi ci troveremmo di fronte a nuovi dilemmi su cosa significa occuparsi dell’Africa, ci dovremmo chiedere per esempio se finanziare tutti i governi, se finanziarne alcuni, se sostenere le ONG, se lasciare che trovi da sola la sua via, come molti sostengono, se giudicare caso per caso ecc.
Il punto è che le domande dovrebbero aprire spazi di comprensibilità nuovi, e non chiuderci dentro dilemmi stereotipi. Ce lo ricordano, a proposito di Africa due articoli. Uno è di Henning Mankell, in Parlateci della vera Africa, pubblicato su “Internazionale” del 3 marzo 2006, che scrive: “finché l’Africa sarà descritta come un continente dominato dal dolore non potremo considerare gli africani persone come noi”. E propone di allargare lo sguardo al passato e al futuro, oltre che al presente, perché questo ci permette una comprensione più profonda e meno dipendente dalle emergenze imposte da discorsi generici e stereotipati. La responsabilità di chi parla e scrive è sottolineata anche da Binyavanga Wainaina, scrittore keniano che dà dei finti consigli su Come scrivere d’Africa, titolo del suo articolo, sempre su “Internazionale” del 24 febbraio 2006. Wainaina consiglia di usare nei titoli le parole Africa, nero, Zanzibar, sole, tamburi, primordiale, ma anche guerriglia, etnico e tribale. “Mai – continua – mettere in copertina (ma neanche all’interno) la foto di un africano ben vestito e in salute, a meno che quell’africano non abbia vinto un nobel. Usate piuttosto immagini di persone a torso nudo con costole in evidenza. Se proprio dovete ritrarre un africano, assicuratevi che indossi un abito tipico masai, zulu o dogon”.
È evidente come l’Africa sia finita dentro un finto dilemma, capace di farsi quindi ricettacolo alternativamente di tensioni ideologiche, di sensi di colpa, di paure. L’Africa è talmente sovraccarica di attribuzioni da renderla invisibile, tanto da condannarla alla minorità e all’abbandono. Non che questo accada solo per l’Africa, accade anzi spesso e in diversi campi. Io ho solo approfittato dei due articoli che riescono a evidenziare così bene il problema. In effetti dovremmo fare la stessa operazione di svelamento dei trucchi della lingua su ogni questione controversa, per uscire dai finti dilemmi, e creare un nuovo spazio, dove hanno cittadinanza le sfumature, “un’immagine complessa e contraddittoria”, scrive ancora Mankell, che è un autore teatrale svedese che vive a Maputo. In questo modo le certezze stereotipate potrebbero lasciare il posto ai ragionamenti, alla ricerca, allo studio, alla sosta e, magari, a buone domande, all’azione e, perché no, anche a una visita al teatro di Maputo.

(Antonio Castagna)