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Ma l’amore dov’è?

di Carla Weber / scritto il 23-10-2006

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Niente di nuovo, mi viene da dire mentre colgo una parte del dibattito in corso in Matrix (Canale 5, 20.10.06), programma televisivo diretto da Enrico Mentana. Si discute, con diversi ospiti in studio, il tema della prostituzione e delle norme per ridurre nelle strade delle città italiane la vista di questa forma di schiavitù moderna, legata alla tratta delle giovani donne e delle adolescenti dei paesi dell’Est. L’allarme è provocato dalla dichiarazione del ministro Amato che contiene l’intenzione di punire anche i clienti, i cittadini che alimentano il mercato della prostituzione. Si guarda anche all’altro, al fruitore delle prestazioni, nel tentativo di scoraggiare comportamenti sessuali che si consumano nell’anonimato e nella trasgressione di un’identità pubblica.
Il dibattito procede sui soliti cliché del riconoscimento della scelta della donna ad usare il proprio corpo, degli aspetti non solo criminali di una delle tante professioni antiche quanto il mondo. L’impulso a cambiare canale mi fa riflettere sulla collusione sottesa a questo modo di fare informazione/spettacolo senza una reale ricerca o lo sforzo almeno di sottoporre a critica tanti discorsi messi lì uno accanto all’altro come se fossero tutti dello stesso valore, enfatizzando il racconto dell’esperienza personale e l’espressione di un’emozione in diretta. Mi rendo conto che questo modo di trattare un fenomeno così complesso, controverso e di natura globale corrisponde a coprirlo di una cortina fumogena da cui è impossibile ricavarci qualcosa in termini di conoscenza e azione. Ecco svelata la mia noia per il dibattito e allo stesso tempo la ribellione a tale noia poiché mi impedisce il contatto vivo con la sua drammaticità. Come può non toccarmi da vicino in quanto donna appartenente a questa collettività, a questo paese così orientato al sentimentalismo e all’ipocrisia? Il “che fare, allora”, è una domanda che me lo rende distante, altro da me. Potrei dire che ha la meglio un sentimento di impotenza a fronte della labilità e inafferrabilità delle reali possibilità di contrastare questo efferato dominio su corpi, affetti e pensieri di donne tenute in ostaggio con la violenza fisica e psichica.
Il considerare la prostituzione una storia antica, la naturalizza e la contiene implicitamente nella nostra pensabilità della relazione sessuata. È il modo con cui contribuiamo a renderla presente in una pensabilità collettiva, a considerarla socialmente ineliminabile. La convinzione che non c’è niente da fare, poiché quello dei corpi, come quello delle armi e della droga è divenuto un mercato enorme e diffuso in tutto il mondo, trasforma il parlarne in una resa, in una conferma della sua naturalizzazione.
In questo modo non teniamo alta la soglia del conflitto e la possibilità di accedere a quello che conta per agire nell’ordine di una trasformazione, di un cambiamento.
Potremmo scorgere allora quanto sia urgente guardare a questo fenomeno per saperne di più di noi, donne e uomini del presente. Le forme attuali della prostituzione ci permettono, ad esempio, di renderci conto delle forme socialmente consentite delle relazioni tra i sessi e della natura delle perversioni che si affermano nelle relazioni tra uomini e donne. Rilevante può essere riflettere sulla qualità dei codici affettivi che regolano le relazioni di genere e come ci educhiamo allo sviluppo di una sessualità matura regolata sullo scambio reciproco.
Ascolto le voci che si alternano nello studio televisivo: il questore dice che sono cambiati i comportamenti dei padroni-importatori-protettori delle immigrate, poiché hanno appreso che la durezza di un certo tipo di violenza è controproducente; i dati mostrano che le giovani donne dell’Est sempre più spesso “scelgono” questa via di guadagno immediato già in partenza; la “professionista del sesso” intervistata sostiene la bellezza del proprio lavoro sempre con clienti gradevoli ed eccellenti; mentre la giovane ex-prostituta, fuggita e salvata dal racket grazie alla forza di denunciare i propri sfruttatori, testimonia la barbarie di un’economia del sesso illegale e violenta; il sacerdote che l’accompagna espone il progetto delle comunità di accoglienza e riabilitazione delle giovani prostitute.
I dati statistici illustrati sono la testimonianza di un più efficace adattamento del fenomeno alla realtà, poiché le presenze delle prostitute dell’Est in strada nelle grandi città, infatti, aumentano. Il dibattito tende a radicalizzarsi su posizioni che oscillano tra il liberalizzare e il controllare, il moralizzare e il legalizzare. Ci si scontra sulla lettura degli esiti del fenomeno, sulla critica all’inefficacia o contraddittorietà delle azioni pubbliche, mentre forse andrebbe approfondito il fenomeno stesso e le sue forme implicite oltre che esplicite.
Si perde un’occasione pubblica come quella che può essere utilizzata dal mezzo televisivo per affrontare la questione dell’amore e della sessualità. Il fenomeno del sesso a pagamento potrebbe divenire elemento di confronto sullo stato attuale della capacità di educarsi all’amore delle donne e degli uomini di questo paese. Quale scambio delle emozioni e dei pensieri, dei sentimenti e dei corpi sessuati riusciamo a rendere socialmente possibile? Quali politiche di sviluppo e crescita della capacità empatica e della competenza riflessiva ci diamo come soggetti e come collettività?

(Carla Weber)