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I luoghi dell’immaginazione e del conflitto

di Antonio Castagna / scritto il 14-05-2007

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Martedì 8 maggio 2007, su “La Repubblica”, è apparso uno scritto dello scrittore israeliano David Grossman, tratto da un discorso da lui tenuto a New York al “Pen Club”, nel quale parla del lavoro dello scrittore come antidoto all’angustia del mondo. Riassumo il lungo articolo che comincia in prima pagina per concludersi a pagina 51. Grossman sostiene che quando vivi per un lungo periodo in una situazione di guerra, ma vale per tutte quelle situazioni che appaiono “senza via d’uscita”, il linguaggio finisce per impoverirsi, si semplifica fino a ridursi a slogan, tanto da lasciare a disposizione degli individui solo le categorie di amico e nemico. Succede cioè come nella “Piccola favola” di Kafka, quando il topo, prima di cadere nella trappola tesa dal gatto dice: “Ahimé, il mondo diventa ogni giorno più angusto”. Gli scrittori hanno una fortuna, per Grossman, perché “quando scrivi il mondo non diventa più angusto. Mi si apre davanti verso un futuro, verso altre possibilità. Io immagino. L’atto stesso di immaginare mi ridà vita. […]. Creo personaggi. Talvolta ho l’impressione di estrarli dal ghiaccio in cui li ha imprigionati la realtà. Ma forse, più di tutto, sto estraendo me stesso da quel ghiaccio. Io scrivo. Percepisco le innumerevoli opportunità presenti in ogni situazione umana e la possibilità che ho di scegliere fra di esse, la dolcezza della libertà […]. Io scrivo. A un tratto non sono più condannato a una dicotomia totale, fasulla e soffocante, fra «essere vittima o aggressore» senza che mi sia concessa una terza possibilità. […]. Quando scrivo riesco a essere un uomo nel senso pieno del termine, un uomo che si sposta con naturalezza tra le varie parti di cui è composto; che ha momenti in cui si sente vicino alla sofferenza e alle ragioni dei suoi nemici senza rinunciare minimamente alla propria identità”.
L’aspetto che vorrei evidenziare, non è la capacità di Grossman di riconoscere le ragioni dei propri nemici, che già è notevole visto che ha anche perso il figlio Ury nella recente guerra del Libano, e nemmeno la capacità al contempo di mantenere la propria identità, che di per sé rappresentano già esempi straordinari della capacità dello scrittore di sostare nel conflitto. Ma quello che vorrei soprattutto sottolineare è lo strumento che gli consente di fare questo, e cioè l’uso dell’immaginazione, che Grossmann è chiamato ad esercitare nella sua professione di scrittore, e che ognuno di noi, possiede e attraverso la quale crea il proprio mondo e il proprio futuro. Mi sembra importante allora, sottolineare la correlazione tra esercizio dell’immaginazione, creazione del linguaggio e capacità di “estrarre dal ghiaccio” le varie parti di cui è composto un individuo. Potremmo trarne l’ipotesi che in un mondo nel quale si moltiplicano le dicotomie e le chiusure, quello di cui abbiamo veramente bisogno per affrontare il conflitto, sono luoghi dove sia possibile esercitare l’immaginazione.

Antonio Castagna

L'arte di scrivere tra gli orrori. (David Grossman)