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Quando la guerra era meglio della pace. Il caso di Sarajevo.

di Stefano Pollini / scritto il 20-12-2005

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“A Sarajevo lo dicono da anni. E’ un segreto di Pulcinella e per questo motivo non si può rivelare. Gli abitanti della città non ne parlano davanti a chi ha perso un amico o un parente, e soprattutto a chi ha perso un figlio o è diventato invalido a causa della guerra. Non se ne parla davanti ai profughi o agli stranieri. Ma è un sentimento molto diffuso: la guerra era molto meglio della pace”. Così inizia l’articolo “La pace amara” pubblicato su Internazionale del 9-15 dicembre che racconta, a 10 anni dalla guerra il sentimento quasi inconfessabile di molti abitanti della città.
Alcune testimonianze di coloro che hanno vissuto il conflitto armato e commentano l’attuale situazione di pace lasciano sconcertati, ma ci obbligano a riflettere:
“E’ assurdo dirlo, ma la guerra era molto meglio della pace”.
“Ho odiato molto questa guerra, l’assedio, le privazioni…tuttavia ho l’impressione che sia stato il periodo più bello della mia vita, in cui ho vissuto i momenti più forti e incontrato gli amici più cari”.
“E’ una sensazione che può sembrare strana, addirittura immorale, ma bisogna capire che in quel periodo tutto era possibile: anche se assediati, bombardati e affamati, ci sentivamo forti, più forti che mai. In un attimo potevi avere la famiglia distrutta, ma potevi anche sentirti un resistente, un eroe”.
“Avevo un’enorme carica vitale, uscivo ogni sera nonostante il coprifuoco, le bombe e i cecchini. Oggi invece preferisco restare a casa. La gente ha perso lo spirito di solidarietà, guarda il vicino con diffidenza, con invidia. Durante la guerra abbiamo sofferto, ma abbiamo anche riso. Oggi invece i sentimenti dominanti sono la tristezza e la frustrazione. In quegli anni combattevamo per le cose essenziali, la vita, la sopravvivenza e per una certa idea di Sarajevo. Mentre oggi il paese sprofonda nel nulla”.
Penso che tutti noi che studiamo il conflitto e cerchiamo di capire come sia possibile la guerra dobbiamo fare i conti con queste frasi.
Se è vero che “nulla di ciò che è umano ci è estraneo” come affermava Terenzio, allora dobbiamo prendere sul serio anche chi dice che la guerra è meglio della pace. Dobbiamo fuggire dalla tentazione di liquidare come assurde o inconcepibili certe affermazioni e considerare che la guerra può anche essere una “festa”, come scrive Pipinato parlando del massacro del Ruanda del 1994.
Come mai la guerra, che porta all’autodistruzione dell’uomo, che il senso comune e la ragionevolezza portano a rifiutare in modo categorico, continua ad accompagnare la storia del genere umano? Come mai i buoni propositi non si realizzano? “Bisogna chiedersi perché” amava ripetere Gino Pagliarani, reagendo alla constatazione dell’insufficienza delle dichiarazioni e delle buone intenzioni nell’affrontare i conflitti collettivi, interpersonali e intrapsichici (Manifesto Polemos, pag 4): le affermazioni degli abitanti di Sarajevo ci forniscono un punto di vista che non si può ignorare per fare luce su questo problema.

(Stefano Pollini)