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Abbiamo paura! L'ambiguo passato di John Negroponte, appena nominato 'zar' dell'intelligence Usa

Alessandro Ursic di Peace Reporter, 18 febbraio 2005 / scritto il 18-02-2005

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Alessandro Ursic di Peace Repoter, 18 febbraio 2005

Connivenza con i metodi repressivi della dittatura, insabbiamento delle accuse di tortura della polizia segreta, appoggio militare ed economico ai guerriglieri impegnati a rovesciare con la forza il governo di un Paese confinante. Sembra il profilo di un narcotrafficante sudamericano, invece sono i sospetti che aleggiano da anni intorno a John Dimitri Negroponte, appena scelto da George W. Bush per essere il nuovo "zar", il super-capo dell'intelligence Usa. La decisione arriva a sorpresa: per la nuova carica, creata dall'amministrazione Bush secondo le indicazioni della Commissione che ha indagato sugli attentati dell'11 settembre 2001, il nome dell'attuale ambasciatore statunitense a Baghdad non era stato menzionato nelle previsioni. La sua designazione dovrà ora essere approvata dal Senato, dove i repubblicani hanno una comoda maggioranza.
Ha alle spalle quaranta anni di carriera diplomatica, Negroponte. Una sfilza di successi iniziata negli anni Sessanta in Vietnam, e culminata con le nomine ad ambasciatore Usa presso le Nazioni Unite nel 2001 e in Iraq nella primavera 2004. Due promozioni, soprattutto la prima, discusse. Per quale motivo? Perché dal 1981 al 1985 Negroponte è stato capo della sede diplomatica Usa in Honduras. Proprio al tempo della dittatura del generale Gustavo Alvarez Martinez, sotto la quale gli aiuti militari degli Usa passarono da 4 a 77,4 milioni di dollari all’anno. Proprio quando l’amministrazione Reagan, nell’ossessione anticomunista della guerra fredda, finanziava i contras, i guerriglieri che combattevano la giunta rivoluzionaria sandinista (di orientamento marxista) in Nicaragua, e che godevano dell’appoggio dell’esercito honduregno. E mentre in Honduras centinaia di oppositori sparivano nel nulla e il famigerato Battaglione 316 – addestrato dalla Cia e dai militari argentini – rapiva, torturava e uccideva studenti, sindacalisti e giornalisti critici del regime, l’uomo di Washington compilava rapporti sui diritti umani che facevano sembrare il Paese centroamericano una specie di Svizzera.
La questione è: chiudeva volutamente un occhio o non vedeva in buona fede? Da parte sua, Negroponte ha sempre negato di essere stato a conoscenza di qualsiasi violazione dei diritti umani da parte dei militari di Tegucigalpa. Contro di lui ci sono le testimonianze di diverse persone, tra cui l’ambasciatore che gli lasciò l’incarico, Jack Binns. Nominato dal presidente Carter nel 1980, Binns riferì più di una volta degli abusi dei militari della dittatura. L’amministrazione Reagan lo sostituì con Negroponte, che l’ambasciatore uscente sostiene di aver messo totalmente al corrente della situazione. Un ex funzionario statunitense che prestò servizio in Honduras sotto Negroponte ha raccontato di essere stato costretto a cancellare qualunque riferimento ai maltrattamenti e alle esecuzioni da un rapporto del 1982. E nel 1994 lo stesso Negroponte fu accusato di violazioni dei diritti umani da una commissione del governo honduregno, la quale ammise che 184 civili risultavano ancora desaparecidos.
Secondo un’inchiesta del Baltimore Sun del 1995, le squadracce del Battaglione 316 “torturavano con scosse elettriche ai genitali e soffocavano le persone sottoposte ai loro interrogatori. Spesso i prigionieri venivano denudati e, quando non servivano più, uccisi e sepolti in tombe nascoste”. Nessuno ha mai stabilito con certezza il numero delle vittime degli abusi. Per anni, cadaveri irriconoscibili sono stati ritrovati nelle campagne e lungo i fiumi. E nel 2001, intorno alla base militare di El Aguacate – dove la Cia addestrava i contras, nonché centro di detenzione e di tortura secondo diverse testimonianze – furono scoperti i resti di 185 persone.
Nel 1982 una suora che aveva vissuto per dieci anni in El Salvador, Laetitia Bordes, andò in Honduras per cercare di scoprire dove si trovassero trenta sorelle e donne di fede salvadoregne che erano scappate in Honduras dopo l’assassinio di Oscar Romero, un arcivescovo che si batteva per il rispetto dei diritti umani. La Bordes parlò anche con Negroponte, che le disse di non sapere nulla al riguardo. Quattordici anni dopo, in un’intervista al Baltimore Sun, il predecessore di Negroponte rivelò che decine di salvadoregni, tra cui le donne ricercate dalla Bordes, erano stati catturati il 22 aprile 1981, torturati dalla polizia segreta honduregna e poi gettati vivi dagli elicotteri.
Le ombre intorno a Negroponte riguardano anche il traffico illegale di armi. L’ambasciatore fu contattato nel 1984 da due mercenari statunitensi che volevano fornire armi ai contras aggirando il divieto del Congresso. Alcuni documenti provano che Negroponte mise segretamente i due in contatto con le forze armate honduregne. Nove mesi dopo, quando l’intera operazione venne alla luce, l’amministrazione Reagan negò qualsiasi coinvolgimento degli Stati Uniti. Altri documenti portarono allo scoperto un piano di Negroponte e dell’allora vicepresidente George Bush per far passare i finanziamenti ai contras attraverso il governo di Tegucigalpa.
Da diversi anni ormai questi fatti sono di dominio pubblico, e per questo la nomina di Negroponte ad ambasciatore Usa presso le Nazioni Unite fu contestata da molti attivisti per i diritti umani. Le loro proteste furono in parte ascoltate, dato che la Commissione esteri del Senato di Washington raccolse un’ampia documentazione sul diplomatico. Ma tutto si fermo lì, perché alla fine il Senato non si oppose alla nomina fatta dal presidente, e nel settembre 2001 Negroponte cominciò il suo lavoro al Palazzo di Vetro.
Anche intorno a quella nomina non mancano i misteri. Secondo il Los Angeles Times, nei giorni successivi alla designazione di Negroponte furono improvvisamente espulsi dagli Stati Uniti alcuni ex membri delle squadre della morte honduregne, che avrebbero potuto testimoniare contro l’ambasciatore nelle udienze della Commissione esteri. Uno di questi era il generale Luis Alonso Discua, il fondatore del Battaglione 316 e vice-ambasciatore all’Onu al tempo della nomina di Negroponte. Aveva pubblicamente dichiarato di essere in possesso di informazioni che avrebbero inchiodato il diplomatico statunitense. Washington gli revocò il visto.
Che il diplomatico abbia una certa esperienza nel rappresentare gli interessi degli Usa è innegabile. Che lo faccia senza cercare inutili protagonismi anche, dato che negli ambienti delle feluche è conosciuto come uno “che parla cinque lingue, ma sa quando rimanere in silenzio”: anche in Iraq ha mantenuto un profilo basso, lavorando dietro le quinte. Che sia lui l’uomo più adatto per mostrare al mondo e a chi lotta per difendere i diritti umani che gli Usa intendono iniziare un nuovo corso, questo si vedrà nelle prossime settimane.

(Sabrina Taddei)


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