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La rabbia e' una virtu'? A partire dal film 'La Rabbia' di Pasolini (2008)

di Simonetta Simoni / scritto il 30-10-2008

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“La Rabbia” di Pasolini è un lungometraggio che il regista e scrittore realizzò nel 1963 e che esce di nuovo al cinema nel 2008 in una versione ricostruita da Giuseppe Bertolucci (da un’idea di Tatti Sanguineti), a partire dai materiali del Centro studi Archivio Pasolini presso la Cineteca di Bologna (da cui sono tratte le informazioni sull’opera riportate qui di seguito).
Il progetto di Pasolini, molto innovativo e inconsueto per quegli anni, era quello di un film di montaggio realizzato con materiale di repertorio (cinegiornali, scene tratte da altre pellicole, riproduzione di quadri di Pollock, Contorno e Guttuso, fotografie dei rotocalchi) sul periodo storico del dopoguerra. Le immagini non sono montate in ordine cronologico (unico leitmotiv visivo è il fungo dell’esplosione atomica, riproposto più volte, a sottolineare la catastrofe già avvenuta e ancora incombente) e vengono commentate alternando le voci originali degli spezzoni selezionati con quelle di Giorgio Bassani e Renato Guttuso che leggono testi di Pasolini. L’autore utilizza sia la scrittura poetica sia prosa critica e il commento politico, con l’intento di smascherare la retorica dell’informazione e dei commenti “ufficiali”. Così facendo, sceglie di mostrarci come la fine della seconda guerra mondiale non segni l’inizio di un periodo di “pace e prosperità”, al contrario, nella “normalità” di quegli anni si susseguano catastrofi naturali (le alluvioni), nuove guerre e conflitti sanguinosi (per esempio in Ungheria, a Cuba, in Algeria, in Corea), test atomici. A quelle immagini di dolore e morte se ne alternano altre dell’attualità dell’epoca, come il funerale di De Gasperi, l’elezione di Ike Eisenhower Presidente degli Stati Uniti d’America, quella di Papa Giovanni XXIII, di Marilyn Monroe. I cinegiornali riportano gli eventi del boom economico italiano, dalla nascita della “piccola borghesia” dei colletti bianchi (ripresi all’uscita della Fiat), alle feste di paese e i festival della canzone e del cinema, fino all’avvento della televisione (definita dallo scrittore nel 1963 (!) “un’arma per la diffusione dell’insincerità, della menzogna” i cui milioni di futuri abbonati/spettatori sono “candidati alla morte dell’anima”).
Il film-saggio, mosso da “ragioni politiche e da un sentimento poetico” fu modificato prima della fase del doppiaggio per volontà dal produttore e diviso in due parti, l’una di Pasolini e l’altra di Guareschi, nel tentativo di affiancare due visioni dei problemi, quella “vista da sinistra e quella vista da destra”. Un prodotto mal riuscito che fu un completo insuccesso, e di cui Pasolini stesso negli anni successivi sembrò disinteressarsi, dopo averne inizialmente rifiutato la versione imposta dal produttore.
Bertolucci, in quella che definisce “un’ipotesi di ricostruzione”, reinserisce le parti tagliate nella versione finale (riconoscibili dal commento letto da Bertolucci stesso e da Valerio Magrelli) e vi aggiunge un’appendice dal titolo “L’aria del tempo” dove ci vengono mostrati, prima, la continua denigrazione del lavoro di Pasolini che passava per i mezzi di comunicazione, stampa e televisione e, poi, il suo personale commento a quella che può essere considerata una vera e propria persecuzione culturale e mediatica.
La forza del film sta nell’insieme di immagini e parole, nella capacità di connettere la profondità dell’analisi dei meccanismi sociali e politici del capitalismo che causano guerre e povertà con la poesia e la ricerca della bellezza. Abituati come siamo a rivedere “la storia in televisione”, le immagini in bianco e nero del nostro recente passato non ci colpirebbero così tanto (aldilà del loro valore storico e di testimonianza) senza le parole fuori campo scritte da Pasolini. I testi letti da Bassani e Guttuso sono espressione di una libertà di pensiero e di creazione che ci propone una posizione culturale forte, un linguaggio, un punto di vista che usa anche termini marxisti che oggi sembrano “sorpassati”. Ma non sorpassata è la realtà a cui si riferiscono, la quale prende vita nei corpi, volti e luoghi ritratti. In questo senso è un lavoro unico nel suo genere, per la stretta connessione tra immagine e significati dei commenti, che si completano, scambiano, integrano per tutto il lungometraggio. Tant’è che il testo è stato pubblicato su I Meridiani di Mondadori, nel volume Pasolini per il cinema (tomo primo), dove troviamo altre sceneggiature e trattamenti dei suoi film.
Tre i temi principali che quest’opera ci consegna per una riflessione sul nostro presente.
La bellezza. La bellezza di una donna, Marilyn Monroe, a cui Pasolini dedica una struggente poesia dove ci parla di ciò che non viene compreso dai “fratelli maggiori inesorabilmente distratti”, troppo occupati “nei loro maledetti giochi” per seguire la strada indicata dalla sorella minore, dalla sua bellezza “sopravvissuta dal mondo antico, richiesta dal mondo futuro, posseduta dal mondo presente”.
La vera bellezza divenuta per pochi, per un’élite separata dal mondo “mostruoso” e volgare della produzione in serie per la massa.
La normalità. Mostrandoci le alluvioni in diversi paesi del mondo, il poeta commenta “Adesso la vita può riprendere le sue antiche strade –si possono scatenare le cronache del bene e del male.” E ripete più volte “Il male della vita è libero”. Mostrandoci feste di paese, il festival della canzone il poeta ripete “Il bene della vita è libero” e conclude “e i tempi sono maturi per la televisione.” Questa è la normalità del dopoguerra, secondo l’autore, uno stato in cui gli uomini tendono ad addormentarsi, perdono l’abitudine a giudicarsi e a chiedersi chi sono. Non i poeti, che osservano con il distacco dello scontento e della rabbia i tanti problemi che nessuno ha saputo risolvere: il colonialismo, la guerra, la fame, l’odio, il razzismo, lo sfruttamento, la divisione tra servi e padroni. Pasolini lo sottolinea più volte nel film, senza retorica, con una lucidità priva di concessioni al patetico, al moralismo o al qualunquismo (di cui si sente vittima): guardate le immagini e ascoltate il poeta arrabbiato, è questo il mondo normale?
La rabbia. La rabbia più sublime, afferma Pasolini nell’intervista che chiude il film, è quella di Socrate che non è un rivoluzionario, ma “uno straccione che andava in giro da una palestra all’altra di Atene, alla periferia di Atene”, il filosofo che irritava tutti coloro che incontrava, ricchi o poveri che fossero, perché fondava il convincimento e il sapere sulla dialettica, la discussione, il ragionare, il discernimento. E’ di questa rabbia lucida, capace di ascoltare, dialogare e comprendere, paziente, desolata e instancabilmente attenta, ciò di cui, forse, abbiamo più bisogno per non distogliere lo sguardo da ciò che ci circonda. E pensare che nel dizionario di psicologia la rabbia (infezione virale trasmessa dal morso di un animale) è definita come “manifestazione intensa e violenta di ira frequente nei bambini”.

http://www.pasolini.net/cinema_rabbia.htm

http://www.mymovies.it/cinemanews/2008/3499/?pagina=4