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La cornice della comunicazione scientifica

di Stefano Pollini / scritto il 26-12-2006

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Qualche settimana fa, un articolo del Corriere della Sera riportava le previsioni sulle prossime scoperte scientifiche e sui grandi problemi della scienza che potranno essere risolti nei prossimi 50 anni. L’occasione, per la discussione su queste tematiche, era data dall’anniversario della rivista “New Scientist” che nel 1957 pubblicò un articolo su ciò che la scienza avrebbe potuto fare nel 2000. Cosa in questi 50 anni si è avverato? Cosa si potrà fare nei prossimi 50 anni?
E’ curioso, per esempio, leggere oggi i commenti di molti scienziati che negli anni ’50 ipotizzavano l’impossibilità di mappare il genoma umano, oppure di tornare sulla Terra, una volta effettuato l’allunaggio. In altri casi invece, le previsioni erano troppo ottimistiche: si immaginava per esempio di utilizzare l’atomo per una miriade di scopi come scavare canali con bombe atomiche, costruire aspiratori domestici nucleari e far volare aerei con i reattori atomici.
Le previsioni di oggi, invece, prevedono che nel 2056 riusciremo a capire le emozioni degli animali, andremo ad abitare nelle colonie create sulla Luna e su Marte, si concepirà la famosa “formula unificatrice del tutto”, inseguita invano per quasi quarant’anni da Albert Einstein, e “gli astrofisici spiegheranno nei dettagli l’origine e l’evoluzione dell’universo, risolvendo finalmente i grandi enigmi che ora li impegnano senza successo: vale a dire che cosa siano la 'forza' e la 'materia oscura' che riempiono il 95% del cosmo senza lasciare traccia. Grazie alla futura Internet, potremo chiedere e ottenere a voce tutte le informazioni che vogliamo, mentre i supercomputer con i software intelligenti e creativi, fabbricheranno ogni cosa, farmaci compresi”. L’articolo, infine, si chiudeva riflettendo su quali e quante di queste cose si realizzeranno veramente, visto le profezie e gli errori di cinquanta anni fa.
La questione su cui vogliamo concentrarci, tuttavia, non è sulle previsioni più o meno azzeccate della scienza, ma sulla cornice su cui è impostato l’articolo. In altri termini, qual è l’idea di scienza che emerge da una descrizione come questa? Come la cornice, cioè il modo di affrontare una questione, influenza il nostro modo di vedere il mondo?
In questo caso, per esempio, la scienza viene presentata come un’attività che procede per prove e per errori, che a volte può sbagliare, ma è comunque un’attività in continuo progresso, che con il tempo risolve molti dei suoi problemi, fornendo un quadro sempre più esaustivo e completo della realtà: la conoscenza scientifica appare quindi lineare e non conflittuale.
Il problema è che questa cornice non rappresenta affatto in modo adeguato alcuni grandi problemi scientifici che sono di natura non lineare e conflittuale. Prendiamo per esempio Internet: il problema non è ottenere tutte le informazioni possibili, magari con il comando vocale in un prossimo futuro, ma selezionare quelle necessarie. Internet ha dato la possibilità di realizzare un sogno che fino a qualche anno fa sembrava impossibile e cioè quello di una biblioteca potenzialmente infinita in cui poter cercare qualsiasi cosa; ma trovare una cosa in un catalogo infinito è impossibile: l’unico modo è inserire dei criteri per delimitare la ricerca. Il problema, allora, diventa definire i criteri: più questi diventano restrittivi, meno saranno le voci e allora sarà più facile scegliere; più i criteri saranno laschi, più sarà difficile scegliere ma il ventaglio di offerte sarà maggiore. Come vediamo ci troviamo di fronte ad un problema irriducibile, conflittuale, che possiamo provare a gestire, ma che non risolveremo mai completamente.
Qualcosa di simile è avvenuto per il DNA. E’ vero che cinquant’anni fa alcuni ricercatori dicevano che era impossibile mappare il genoma e invece ci si è riusciti. Il problema, però, è che ci si è resi conto che la connessione fra il genoma e il fenotipo è complessa, cioè non lineare, non determinabile come si credeva in precedenza. Abbiamo decifrato l’alfabeto della vita, ma non potremo predeterminare quali parole, frasi, o poemi si potranno comporre con quest’alfabeto.
A proposito delle grandi scoperte della fisica, inoltre, alcuni studiosi obiettano che si possa, in linea di principio stabilire una teoria del tutto, ma ammettiamo che ciò sia possibile. I ricercatori in questo campo sostengono che una tale teoria non spiegherebbe “tutto”, perché sarebbe comunque di natura statistica e quindi lo spazio della contingenza e della possibilità rimarrebbe, dando vita a continue sorprese ed evoluzioni.
Ciò significa che in fisica, e nella scienza in genere, non si trova mai la spiegazione definitiva, quella risolutiva, ma le nostre ipotesi sono sempre sub-ottimali, relative ad una esplorazione di una regione limitatissima delle possibilità e se qualche volta ci si sposta e si esplora un'altra zona, solo un pochino più lontana, forse si trova una soluzione nuova che apre nuove prospettive. Prendiamo per esempio il problema della massa oscura che costituisce il 95% del cosmo: fino al 2000 non se ne conosceva l’esistenza, poi ci si è resi conto che tutto quello che si conosceva fino a quel momento era relativo solo al 5% dell’universo!
La conoscenza scientifica, come già sottolineato in un articolo già pubblicato su questo sito qualche mese fa (I criteri per la valutazione dei progetti di ricerca scientifica - 21 luglio 2006) “non è la soluzione dell’ambiguità, non che conoscendo di più e meglio l’ambiguità si dissolve; semmai si evolve generando nuovi problemi e nuovi paradossi”. La conoscenza è un processo conflittuale, non lineare anche se i media sembrano offuscare questo fatto quando debbono presentare scoperte o problemi scientifici.
La cornice, quindi, il modo in cui viene data una informazione, il “come”, diventa la grande questione per chi si occupa di scienza, per dare spazio ad una “cultura del conflitto” che oggi è quasi assente nella comunicazione e divulgazione scientifica.

(Stefano Pollini)