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La distinzione tra vita e non vita è quello che dovrebbe essere il tema di discussione di fronte alla morte di Piergiorgio Welby.

di Ugo Morelli / scritto il 27-12-2006

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La distinzione tra vita e non vita è quello che dovrebbe essere il tema di discussione di fronte alla morte di Piergiorgio Welby. Da un lato non abbiamo gli elementi sufficienti per una universale condivisione di cosa sia la vita. Basta introdurre le differenze individuali, in termini di orientamenti e di valori, o le differenze culturali tra tradizioni e popolazioni, per trovarsi di fronte ad una varietà altamente conflittuale. Non si può però neppure sostenere che la concezione della vita sia rimasta intatta rispetto ad un’epoca in cui le grandi narrazioni ne autorizzavano una visione unitaria e stabile. Anche in quei casi abbiamo elementi per ritenere che si trattasse di una tendenza prevalente più che di una certezza stabile, assoluta e condivisa. Il conflitto e la scelta sono sempre stati presenti in questa che è forse la questione delle questioni. Oggi sappiamo di non disporre di una concezione unitaria della vita e che le stesse scoperte scientifiche e tecnologiche sono divenute pervasive al punto da incidere in maniera determinante sull’evoluzione della vita stessa. Né la scienza, né il diritto, né la morale dominante sono in grado di fornirci risposte sicure. Possiamo però dire qualcosa a proposito della vita umana. Anche qui non certamente definitiva. È difficile sostenere che si possa parlare di vita umana senza porre al centro la capacità di scelta derivante dalla coscienza di second’ordine, dal linguaggio verbale e dalla ricerca di significato. Per queste ragioni, mai come di fronte alla scelta tra la vita e la morte, bisognerebbe porre in atto un’adeguata capacità di sostenere il conflitto che le diverse posizioni pongono, abitandolo intensamente ed evitando gli antagonismi. Solo così si può ricercare una via per una più adeguata concezione della vita e per l’individuazione di regole coerenti. Senza dimenticare che libertà individuale cosciente ed espressa col linguaggio verbale merita il rispetto sacro della specie che è portatrice di quelle distinzioni.

(Ugo Morelli)