base

home/conflict now

Cerca:

La nostalgia e le contraddizioni del presente

di Antonio Castagna / scritto il 10-07-2009

torna indietro

La Repubblica del 31 maggio contiene un articolo interessante. Le lavoratrici della Reggia di Venaria hanno indossato per un giorno il foulard in testa in segno di solidarietà con la loro collega Yanma Amellal, marocchina. In una lettera a “La Stampa” infatti, una signora si era lamentata che alla biglietteria di in un luogo della memoria storica italiana fosse presente una signora con il velo sul capo che proveniva evidentemente da un altro luogo e un'altra cultura.
La signora naturalmente non è razzista e chiedeva semplicemente che questa signora lavorasse almeno negli uffici interni e che al front office stessero solo ragazze italiane magari vestite con i costumi dell'epoca.
Gli aspetti interessanti a mio avviso sono tre.
Il primo è che i colleghi con un gesto semplice e concreto hanno mostrato solidarietà e smontato le argomentazioni della signora senza enfatizzare più di tanto la cosa. Basta un sorriso e un gesto.
Ma se ci fermiamo a questa considerazione forse capiamo poco del perché e come il razzismo vada affermandosi in Italia. Rischiamo di generalizzare da una parte e di accontentarci dell'ottima capacità dei dipendenti della Reggia di Venaria di reggere il conflitto.
Il secondo aspetto interessante è l'idea di Storia come luogo della nostalgia delle grandezze passate. A parte il fatto che la Reggia di Venaria è bellissima, è pure vero che rimanda a pagine di Storia di cui non sempre c'è da vantarsi. Volgendo lo sguardo al passato però spesso tutto si colora con una patina pastello e cessa di essere contraddittorio. I reperti del passato non sono più segni con cui confrontarsi stando nel presente ma oggetti di consumo per turisti. A questa deriva contribuisce anche il modo in cui la Reggia di Venaria e altri luoghi simbolici in Italia vengono presentati al pubblico. La Reggia contiene una galleria dell'epopea Savoia che ne mette in mostra l'ascesa nel corso di IV secoli. La dinastia dei Savoia in questo lasso si conquista uno spazio in Europa attraverso guerre e acquisizioni. Per il visitatore il processo di identificazione con la storia nazionale è immediato. Anche nella zona delle cucine della Reggia, dove pure si cerca di rappresentare attraverso filmati le decine di personaggi e lavoratori che le popolavano, l'immagine che ne emerge è piuttosto patinata e pacificata. La dichiarazione a “La Repubblica” del direttore della Venaria Reale Alberto Vanelli è interessante da questo punto di vista. Dice: “siamo orgogliosi che molti visitatori arrivino anche dall'estero e che ci siano tra noi una decina di lavoratori stranieri. Teniamo molto all'interculturalità, mentre per quel che riguarda gli abiti d'epoca, credo che la residenza sia un patrimonio a disposizione del nostro tempo”. È una bellissima risposta a mio avviso. Ma se la residenza è un patrimonio a disposizione del nostro tempo, come mai promuove una visione così consolatoria della storia patria?
Il terzo aspetto della reazione della signora che scrive a “La Stampa” lamentando la presenza di una straniera velata è connesso al secondo. Scrive la signora: “Mi sono chiesta se non sarebbe stato più corretto impiegare queste due signore [si riferisce anche a un'altra impiegata che in realtà è una signora calabrese dal colorito olivastro] in un'attività d'ufficio e lasciare, per il primo impatto con la Reggia dei Savoia, personale magari vestito con abiti dell'epoca.
È l'ipotesi che tutto ciò che disturba l'immagine levigata della realtà vada se non eliminato almeno rimosso dallo sguardo, magari nascondendo la signora marocchina in un ufficio interno. Da qui il tentativo di trasformare una realtà non sempre facile da comprendere in uno sfondo consolatorio nel quale possiamo pure raccontarci che l'Italia non è un paese multietnico. Oppure che noi italiani siamo sempre stati, ma sempre e tutti, poeti, santi e navigatori. La “nostalgia senza memoria”, come la definisce Arjun Appadurai in Modernità in polvere, Meltemi, 2001, fa sì che il passato appaia come una sorta di deposito di scenari, “forma normalizzata del nostro presente” (p. 49) che rende difficile attivare l'immaginazione, che richiede desiderio e capacità di confrontarsi con le contraddizioni del presente, esito delle contraddizioni del passato.

Antonio Castagna