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Nemico made in China.

di Ivo Povinelli. / scritto il 09-01-2006

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Ogni giorno la radio parla dei danni che l’economia cinese arrecherebbe all’economia italiana. L’antifona non mi è nuova, purtroppo. Da un lato è vero che l’economia italiana soffre la concorrenza cinese, dall’altro è altrettanto vero che ce la siamo voluta, puntando su quei prodotti a basso investimento tecnologico in cui però i paesi emergenti sono bravissimi a farci concorrenza. Ma l’analisi economica, per quanto necessaria e precisa non basta e soprattutto non distende gli animi perché è tutta a nostro sfavore. Allora cosa facciamo noi aiutati dai nostri amministratori nazionali? Tiriamo fuori dal cilindro un nemico, e lo chiamiamo Cina.
Un nemico fa sempre comodo, è difficile vivere senza. Serve a dargli gran parte delle nostre colpe, a liberarci del peso delle nostre responsabilità che da sempre deleghiamo agli imperatori ai re o ai papi di turno. Inoltre, è più facile guardare l’altro come nostro antagonista che capire le sue buone ragioni ad abbandonare il proprio Paese e a venire in Italia a vendere capi di vestiario economico. Poco vale anche il fatto che compriamo sulle loro bancarelle i nostri vestiti, il disprezzo è una forma di amore, in questo riconosco la nostra italianità.
Non mi preoccupa il fatto di vestire ‘Made in China’, mi preoccupa il fatto che i genocidi sono iniziati tutti così. In Turchia con gli Armeni, in Germania con gli Ebrei e poi in Ruanda, nei Balcani ed oggi in Palestina e quanti altri non conosciamo. In Brasile l’italiano ‘puzzava’ e negli Stati Uniti Sacco e Vanzetti venivano condannati a morte benché innocenti. Così ogni giorno i media caricano l’immaginario di odio per la Cina, facendola diventare il nostro problema principale.
Nel frattempo passo ogni giorno davanti ai negozi che alcuni Cinesi hanno aperto nella mia città, spio tra le migliaia di capi le loro facce. La politica economica basata sull’odio non mi convince e per quanto mi sforzi di fare il ‘buon cittadino’ non riesco a provare nessun tipo di rancore.

(Ivo Povinelli)