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L’autorevolezza di un Parlamento

di Luca Mori / scritto il 28-11-2007

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In un Paese come il nostro, nel cui Parlamento questioni importanti relative alla laicità, al lavoro, alle condizioni di vita degli immigrati e allo stato delle scuole o della ricerca non solo non vengono decise autorevolmente, ma neppure discusse – piuttosto rimosse, o “urlate”, o differite – in un Paese in cui l’ars politica dei leader di partito sembra consistere nel seguire o nell’assecondare i sondaggi secondo le tecniche più evolute del marketing elettorale, la domanda circa l’autorevolezza di un Parlamento e le forme dell’autoritarietà dev’essere sollevata spesso.
Si discute in questi giorni di legge elettorale, di fusione di partiti e di “nuove elezioni”. Individuo alcuni problemi che si presentano in questo scenario ricorrendo a sette citazioni, di cui in seguito dichiarerò la fonte:

(Problema 1) «I cambiamenti di tecnica statale di per sé non rendono una nazione né grande né felice né valorosa»;
(Problema 2) «[…] il livello alto o basso di un parlamento si adegua a seconda del fatto che in esso i grandi problemi vengano non soltanto discussi, bensì autorevolmente decisi – a seconda che, quindi, ciò che accade in parlamento conti qualcosa e quanto, oppure esso sia soltanto l’apparato di approvazione mal tollerato di una burocrazia dominante»;
(Problema 3) «Anche in forme assai democratiche di organizzazione di un partito di massa – che comporta poi, come sempre, un corpo sviluppato di funzionari retribuiti – la massa degli elettori, almeno, ma anche, in proporzioni notevoli, dei semplici “iscritti”, non partecipa (o partecipa solo formalmente) alla determinazione del programma e dei candidati. Piuttosto gli elettori vengono presi in considerazione come fattore concomitante solo per il fatto che i programmi e i candidati vengono scelti commisurandoli alle probabilità di conquistare i loro voti»;
(Problema 4) «Anche le difficoltà delle fusioni di partiti, ad esempio, si basano molto più sull’ostilità reciproca tra questi [loro] apparati burocratici di partito che su differenze di programma»;
(Problema 5) «[…] questo sistema permette a persone che posseggono le qualità di un funzionario capace, ma neppure l’ombra del talento dell’uomo di stato, di rimanere in posizioni poitiche direttive finché qualche intrigo non li fa uscire di scena a favore di un altro personaggio dello stesso genere»;
(Problema 6) «Le debolezze che naturalmente sono insite, come in genere in ogni organizzazione umana, nella selezione dei politici dirigenti attraverso la propaganda di partito, sono state esposte dettagliatamente fino alla noia […]. Che anche il potere parlamentare di partito pretenda e debba pretendere dall’individuo di sottomettersi a capi che egli spesso può accettare solo come il “male minore”, è semplicemente ovvio. Ma lo stato autoritario, in primo luogo, non lascia all’individuo assolutamente nessuna scelta e, in secondo luogo, invece di capi gli dà alti funzionari»;
(Problema 7) «[…] non un parlamento che tiene discorsi, ma soltanto un parlamento che lavora può costituire il terreno sul quale crescono e, attraverso la selezione, compiono la loro ascesa uomini con qualità di capo autenticamente politiche e non meramente demagogiche. Ma un parlamento che lavora è un parlamento che controlla continuamente l’amministrazione collaborando con essa».

Da questi brani, credo, si ricavano interessanti spunti di riflessione, anche se sono vecchi di novant’anni. Sono tratti dal saggio su Parlamento e governo di Max Weber, pubblicato nel 1918, nel quale confluirono alcuni articoli scritti per la Frankfurter Zeitung nel 1917.
Ciò di cui Weber avvertiva la necessità erano le condizioni per l’esercizio e la comparsa di politici responsabili, disposti a vivere per la politica e non di politica. Sollevando la questione, egli vide i rischi dell’assenza di educazione politica in una “nazione” e nei partiti, e avvertì del fatto che parlamentarizzazione e democratizzazione sociale non vanno sempre e necessariamente assieme.

Fonte delle citazioni: M. Weber, Parlamento e governo. Per la critica politica della burocrazia e del sistema dei partiti, a cura di F. Fusillo, Laterza, Roma-Bari 2002 (rispettivamente: p. 7, p. 21, p. 26, p. 31, p. 47, p. 54, p. 55).

(Luca Mori)