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Indifferenza e saturazione

di Ugo Morelli / scritto il 24-09-2008

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Due registi cinematografici si sono espressi sul presente.
Matteo Garrone, regista di ‘Gomorra’, dice, in un’intervista a la Repubblica del 24 agosto: “A Scampia prima di ‘Gomorra’ sono stato sei mesi. La cosa che mi ha colpito di più è che tutti vivono nell’incoscienza della propria condizione”.
Nanni Moretti a Locarno, il 13 agosto, ha detto: ”E’ inaccettabile che in una democrazia un uomo che ha il monopolio dell’informazione televisiva si candidi a guidare il paese per cinque volte di seguito in quattordici anni – ma lo sarebbe anche se fosse una volta sola. Chi ricorda che questo è inaccettabile per una democrazia, passa per persona noiosa, ovvia, che dice cose grossolane. Ma non è grossolano dire queste cose, è grossolana la realtà italiana: da una parte autodistruttività, dall’altra letargo. Però trovo più grave il fatto che in Italia non esista un’opinione pubblica. Sarei e sono con quel governo (dal 1996 al 2001) che aveva una maggioranza solida ma non ha fatto una legge sul conflitto di interessi. In paesi in cui esiste l’opinione pubblica con giornali indipendenti che la formano, uno condannato per corruzione dalla magistratura, in primo, secondo e terzo grado, sarebbe stato punito dall’opinione pubblica. Ma da noi non c’è memoria”.

Nel portare avanti l’analisi del conflitto come generatore di legame sociale e di innovazione possibile, in questi ultimi anni abbiamo spesso fatto riferimento ad una quarta dimensione insorgente, accanto al conflitto, appunto, alla cooperazione e all’antagonismo. Quella quarta dimensione è "l’indifferenza". Più recentemente ci è capitato di approfondire alcuni aspetti del conformismo e del blocco al cambiamento nei gruppi sociali e ci è parso opportuno mettere a punto un’ipotesi riguardante un condizione nella quale i gruppi e le società possono venire a trovarsi. Quella particolare condizione può essere definita di "saturazione". Che cosa sono l’indifferenza e la saturazione? Come possono essere, seppur provvisoriamente, definite? Il tempo in cui la passione implode è quello in cui si perde di vista il fatto che desiderare e cercare di rispondere all’attrazione della scoperta e dell’inedito vuol dire allo stesso tempo patire la fatica e l’impegno di quella ricerca. La passione è ambigua in quanto è attrazione e patimento, allo stesso tempo. Nel momento in cui la soddisfazione viene proposta e pensata come gratuita, la vita si banalizza. Tutto si riduce a formule semplicistiche e l’opinione pubblica, che può nascere solo da una sana gestione del conflitto sociale e del confronto tra le differenze, si riduce a slogan autoappaganti. Le differenze non solo non sono cercate ma danno fastidio. Anzi nei loro confronti si organizza l’orientamento collettivo, cercando in tutti i modi di negarle. Ciò vale sia per le differenze che possono nascere nel gruppo sociale di appartenenza, sia per le differenze portate da chi arriva da altri luoghi. Il conformismo diviene perciò quella situazione nella quale la maggior parte delle persone preferisce adeguarsi all’esistente e non cambia idea nonostante le evidenze, perché la paura dell’ignoto è prevalente e ostacola la pensabilità del cambiamento. La saturazione, connessa intimamente al conformismo, si genera quando non si vedono spazi di innovazione possibili perché tutto quanto si esprime suona come già visto e già sentito; i linguaggi si depositano su se stessi e un sentimento di tutto pieno dall’esistente rende ogni spazio inimmaginabile. Chi è coinvolto in questi processi non è in grado di vedere di non vedere. Anzi per molti aspetti non può permettersi un esame di realtà che risulterebbe oltremodo insostenibile, manifestando difettosità e senso di incapacità insopportabili. Tutto ciò concorre a creare uno stato di incoscienza della propria condizione, ragione fondamentale di ostacolo ad ogni cambiamento possibile. Allo stesso tempo la posizione di chi parla e tenta di segnalare lo stato delle cose è una posizione pressoché impossibile: chi ascolta reagisce con noia e fastidio, segnalando un sentimento di saturazione, appunto, di assenza di spazio di riflessione. L’appagamento emotivo ottunde la riflessione. Poco conta che quell’appagamento sia illusorio. Una buona analisi di realtà secondo i criteri dello studio dei conflitti esige però che si guardi a se stessi e alle proprie responsabilità. Alle responsabilità di quella parte che non ha fatto e non fa quello che va fatto per non subire passivamente l’esistente. E’ vero che gli spazi non sono molti, ma come sono utilizzati quelli esistenti? Quanta collusione c’è stata e c’è ad esempio nel modo di intendere la televisione e i media, l’economia e il lavoro, l’educazione e i beni culturali, tra il liberismo pasticcione e l’individualismo autointeressato di chi governa oggi l’Italia, tra la loro ignoranza di fondo della portata dei problemi, e gli ammiccamenti diffusi, frequenti, espliciti e non espliciti di chi dovrebbe costruire un’opposizione ma, soprattutto, progettare un’alternativa? In sintesi, quanto berlusconismo c’è nella sinistra, che acceca rispetto alla costruzione di una civiltà all’altezza del nostro tempo? Non è perciò solo questione di memoria, ma di capacità di azione e di orientamenti strategici appropriati e non dipendenti dall’azione altrui, ma autonomi e generativi. Ecco un conflitto interno con cui fare i conti come condizione indispensabile per saper affrontare i conflitti con gli altri.

(Ugo Morelli)